Trilogia degli Elfi Scuri

Dungeons and Dragons era già approdata nel mondo letterario da tempo con una storia che si svolge nell’ambientazione di Greyhawk e in seguito, con maggior fortuna, ripeterà l’operazione con Dragonlance. Con i Reami Dimenticati furono invece personaggi come Elminster Aumar a sancire un’era assai duratura di lunghe saghe, e tra queste, quella di Drizzt Do’Urden è una delle più celebri e appassionanti. Nessuna delle razze appartenenti all’ambientazione Dungeons and Dragons in senso più esteso e generale del termine, che siano gli Elfi, Nani o Halflings, sono sinonimo dei “Reami Dimenticati” come i Drow, detti Elfi Scuri per chi ama i loro aspetti più genericamente fantasy, o Ilythiiri per i puristi appassionati di luoghi come la meritevole Valm Neira. Non è certo fuoriluogo asserire che la loro origine si possa trovare negli Elfi Avari tolkeniani, o nei Melniboneani di Moorcock, ma tralasciando queste radici, gli Elfi Scuri sono davvero la creazione più specifica nonchè fiore all’occhiello dei Forgotten Realms, cosa che viene confermata dalla storia recente che è effettivamente costellata dalla loro epopea. Tanto per darvi qualche dato: Neverwinter Nights pubblicò una ricca espansione tutta ambientata nell’Underdark (Drow dell’Underdark), e oltre alla Trilogia degli Elfi Scuri, la lunga saga della Regina Ragno, composta da sei libri, è interamente basata sul “buio profondo” e sui letali Elfi dalla pelle onicea.

La Trilogia degli Elfi Scuri, sebbene si conformi de facto come prequel della Trilogia delle Terre Perdute 1, è il cuore pulsante delle narrazioni sui Drow e il principio di una saga, quella personale di Drizzt, che è di straordinaria lunghezza, e che prosegue con la Trilogia delle Terre Perdute, Il Ciclo dell’Eredità, I Sentieri delle Tenebre, La Lama del Cacciatore, con la saga del “Quintetto dei Chierici” (anche se in realtà qui Drizzt c’entra solo in maniera tangenziale) e infine perfino nelle “Transizioni”. Che dire, un personaggio che partecipa a ben sette saghe, un vero record.

I tre romanzi della Trilogia degli Elfi Scuri narrano tre segmenti precisi della linea storica di Drizzt, caratterizzati da una prima fase (Il Dilemma di Drizzt) dove il protagonista, scampato per pura fortuna al sacrificio infantile, cresce imparando l’arte della spada dal padre, amico e maestro d’armi Zaknafein, iniziando lentamente a mettere in discussione la mentalità crudele della società dei Drow di Menzoberranzan. Il primo romanzo  è indubbiamente la parte più psicologica e “politica” della trilogia, oltre ad essere ovviamente quella più esplicativa nel descrivere le dinamiche della città di Menzoberranzan, la razza dei Drow e la suddivisione gerarchica delle famiglie nobili. Robert A. Salvatore è chiamato ad un compito insospettabilmente insidioso, ovvero quello di tratteggiare il raggiungimento di una indipendenza mentale anticonformista su un personaggio che non ha visto altri modelli morali, e che è cresciuto con quei dogmi assolutamente radicati e senza contraddittorio. Per quanto si tratti di un romanzo di Dungeons and Dragons non è uno scherzo rendere credibile lo sviluppo di una coscienza individuale senza che si possa attingere ad un modello etico alternativo, che sia anche semplicemente formale. Il tentativo in questo senso si basa sul fatto che Drizzt, seguendo assiduamente lungo gli anni della sua crescita le lezioni di spada sia cresciuto come in una bolla di isolamento che lo ha tenuto relativamente a distanza dalle influenze sociali, e a questo si unisce in primo luogo l’insoddisfazione generata dall’iniquo dominio femminile dell’implacabile società matriarcale-religiosa, e successivamente l’influenza di Zaknafein, che a sua volta aveva sviluppato una sua moralità individuale. Questa è indubbiamente la parte più problematica di tutta la trilogia. Zaknafein stesso, per quanto mentalmente più libero di molti Elfi Scuri, non è sufficientemente affrancato dagli “anti-valori” dei Drow per fare una scelta di vita decisa, tuttavia è lui che insemina i primi dubbi a Drizzt.

Ciò che lascia qualche incertezza sono delle lievi incoerenze nel comportamento dei Drow. Gli Elfi Scuri non hanno un modello, anche solo formale o teorico, che definisce dei comportamenti etici da seguire, nella loro società è anzi incoraggiato il tradimento, la rampicata sociale a danno altrui, e il farsi strada slealmente o con la violenza. La Dea Llolth sembra accettare senza troppi problemi che perfino una sua prediletta possa venir soppiantata se colei (o più raramente “colui”) che è intenta a fare le scarpe alla rivale dimostra audacia e determinazione. Una società profondamente corrotta e decadente, ma che mantiene de iure delle formalità giuridiche e comportamentali ha motivo di avere una diplomazia e un bon ton così sviluppato e cardinale come nei Drow, poichè arrecare danno in maniera troppo vistosa potrebbe scatenare avversità di natura politica, giuridica e sociale (tribunali, organi di sorveglianza o il semplice dissenso popolare) ma non ha motivo di esserci in una società che incoraggia e ammira delle condotte negative. Tenendo da parte il fatto che i Drow, in quanto Elfi, sono indubbiamente civilizzati, Sauron, non ha bisogno di imporre negli orchi dei modelli formali, poichè non c’è a Mordor uno statuto che vincola alle apparenze di uno stato diritto, e lo stesso è per Palpatine in Guerre Stellari, pur essendo leader di una collettività civilizzata. L’impressione è che i pretesti, le cospirazioni e le mosse sia politiche che belliche dovevano essere puntellate meglio nei presupposti logici, ed è un vero peccato dato che R. A. Salvatore ci era andato davvero vicino, a mio avviso bastava davvero poco per rendere tutto più solido. La buona notizia è che probabilmente i difetti finiscono qui. Anche perchè tutto questo non impedisce alle storie, comprese quelle basate sull’intrigo cospirativo, di ottenere un buon livello di coinvolgimento. Il potere delle Matrone è sempre appeso ad un filo perfino nelle situazioni di grande privilegio, e notevoli sono personaggi nelle zone grigie come il pittoresco e potente capo mercenario Jarlaxe, meritevole ben più d’una menzione, o anche Vierna Do’Urden che è potenzialmente il miglior personaggio della trilogia, cosa che non diventerà concreta essendo quest’ultima un elemento del tutto secondario. Se come abbiamo detto, in Drizzt e Zaknafein, il distacco dalla “psicologia collettiva” dei Drow appare appeso ad un filo in termini di credibilità, Vierna Do’ Urden, sembra invece dar l’impressione che avrebbe potuto portare a termine un distacco credibile dalla mentalità della sua società, il suo gioco psicologico è elaborato e l’amore fraterno impatta in una maniera migliore come ragione individuale rispetto all’insoddisfazione per il matriarcato e la concentrazione sugli allenamenti alla spada. In ogni caso, Salvatore, si è arrangiato come meglio poteva con questi elementi, avrebbe potuto fare in modo che i valori positivi fossero instillati a Drizzt dall’esterno, con soluzioni come l’innamoramento per un personaggio femminile proveniente dal di fuori dell’Underdark, ma pur generando in questo modo una ragione meno contestabile, non sarebbe stato un gran colpo di originalità. Forse giocare la carta di una divinità positiva del pantheon Drow come Ellistrae avrebbe potuto funzionare meglio.

Il secondo romanzo (La Fuga di Drizzt) narra l’esilio del protagonista che si lascerà alle spalle Menzoberranzan per accedere alla parte selvaggia del “Buio Profondo” nonché nella sua avventura di stampo “survival”. Il ribelle elfo scuro stavolta sarà messo alla prova con le tenebre assolute dell’Underdark e i suoi mostruosi abitanti, come ad esempio l’Ingordone (un gigantesco verme divoratore di funghi e non solo) Pipistrelli Giganti, il Basilisco, insidiose creature alate antropomorfe, sino agli Illithyd, ovvero gli psionici più potenti di tutta Faerun. Gli Illithyd sono creature inquietanti, dai poteri mentali eccezionali e con un aspetto fisico caratterizzato da una generica morfologia lovecraftiana. Al tempo stesso, la loro organizzazione sociale ricorda anche le formiche giganti (L’Impero delle Formiche) e gli alieni insettiformi di Wells (I Primi uomini sulla Luna) e di conseguenza le simili creature pensate da Heinlein in Fanteria dello Spazio. Non si può nascondere che trovare questi riferimenti potrebbe essere entusiasmante, essendo Wells uno scrittore tra i preferiti, ma anche mantenendo i piedi per terra, il tutto risulta ben riuscito e gradevole. Ovviamente, gli Illithid e il loro sito abitato; gli Gnomi del Profondo e la loro città di Blingestone, e così la stessa Menzoberranzan, non riescono a dare quel senso megalofobico puramente lovecraftiano che si trova, per l’appunto, nei racconti di Lovecraft, o talvolta anche di Howard nelle saghe di Conan il Barbaro e Kull di Valusia, ma anche, ad esempio nel romanzo L’Era del Serpente dell’Italiano Andrea Gualchierotti, che riesce a raggiungere bene questo tipo di “Sense of Wonder” puramente sulfureo. Ma occorre spezzare una lancia a favore di questi romanzi, in quanto bisogna tuttavia considerare che le velleità “omni-espansive” nei romanzi dei Forgotten Realms, sono pur sempre in un High Fantasy, eddingsiano e tagliato per un pubblico ampio che non esclude quello giovanile. Tutto sommato questi elementi, anche se all’acqua di rosa, fanno una loro dignitosissima figura. Luoghi come l’Accademia Tier-Breche o Arach-Tinlith sono affascinanti e sono ormai mito della Fantasy generale. Questo secondo romanzo narra il Drizzt “cacciatore”, per lungo tempo relegato ad uno stato di solitudine erratica che quasi abbrutisce verso il barbarismo. Drizzt è in uno stato mentale pericoloso che ha il picco inferiore in un cacciatore “barbarico” e il picco superiore in un Rambo all’arma bianca e in versione Fantasy-Medievale. La sua cara amica, la magica pantera Guenhwyvar si rivelerà fondamentale per mantenere la sua mente integra. La Fuga di Drizzt è un romanzo che regala genuine emozioni, e l’arrivo nella città degli Gnomi del Profondo sarà il momento decisivo per il processo graduale di Drizzt, che probabilmente è proprio nell’amicizia con Belwar che diventerà definitivamente buono allontanandosi da quel principio antieroico che in realtà, per essere onesti, su questo personaggio è un po’ vago e annacquato. Più che un vero antieroe che sviluppa il proprio arco all’eroe, Drizzt è un personaggio tormentato che ha compiuto controvoglia qualche misfatto nel passato ma solo perchè parte in spedizioni militari nell’Underdark, agli ordini di Elfi Scuri più anziani. Il senso di amicizia diventerà fondamentale in questa storia e un grandissimo stimolo per l’evoluzione di Drizzt. Senza voler esagerare, credo che anche per un cuore di ghiaccio sia impossibile non rimanere avvinti e divertiti nei momenti che coinvolgono lo stesso Drizzt e Zaknafein nel dominio degli Illithid, sia nei combattimenti contro quest’ultimi che nello stesso confronto tra i due Elfi Scuri. Si suppone non sia giusto aggiungere altro, essendo questo libro pieno di fatti sensibili non adatti ad essere descritti in un commento come questo.

Non si può nascondere che il terzo romanzo della trilogia (L’Esilio di Drizzt) rappresenti un po’ la “fine della magia”. nell’ultimo atto si risente in maniera evidente del fatto che viene abbandonato quel senso puristico degli Elfi Drow e il loro mondo, non si sentiranno più i loro nomi particolari, dal suono un po’ rettile, esotico e un po’ elfico, né si riceveranno più quelle sensazioni immersive del mondo ben costruito, di una lingua approssimata, poichè Drizzt accederà al normale mondo di superficie illuminato dal sole e sotto il cielo, fuori dall’Underdark e verso una storia di puro intrattenimento, con caratteristiche più tipiche dei romanzi dei Forgotten Realms. L’arrivo di Drizzt nel mondo a cielo aperto riguarderà inizialmente un piccolo villaggio di contadini immerso in terre selvagge e sperdute, sul quale subito aleggia il pericolo di un gruppo di guerrieri Gnolls. Questa fase mette concretamente lo spadaccino drow in condizione di mostrarsi come “buono definitivo”, anche se in verità, lo era già da molto tempo. Drizzt imparerà la lingua comune e tutti gli usi e i costumi umani della regione grazie al vecchio saggio Montolio, che diverrà suo grande amico e mentore; uno sciamano dalla bianca barba che abita in una grotta insieme al suo orso. Montolio,  più che un senso druidico come doveva essere, sembra una via di mezzo tra un vecchio mezzo-sangue trapper dell’ontario in pensione e un ascetico seguace di Ralph Waldo Emerson, e anche Roddy Mc Gristle , già sin dal suo nome simile a quello di un calciatore del Celtic Glasgow, temibile e arcigno cacciatore di taglie – il nemico principale di Drizzt a guardar bene – non è certo all’altezza delle minacce dei precedenti due libri e contribuisce a creare una iniziale atmosfera un po’ troppo western che in ogni caso Salvatore riesce a contrastare bene, inserendo ad esempio i due spiriti malvagi o “spiriti infausti”, e altri elementi che ripristinano la circostanza fantasy, come Elfi e Orchi. Come si è specificato sopra, appare chiaro un calo di immersività e un livello che inizia a conformarsi sempre più sullo standard dei romanzi Dungeons and Dragons, tuttavia è sensato che Drizzt, al suo “esordio” in superficie, sbuchi in una realtà casuale, sperduta e periferica, e che non incappi subito quindi in realtà focali del mondo di Faerun come Sigil, Neverwinter, Silverymoon o altri mitici luoghi amati dai fan, così come sarebbe stato poco credibile l’incontro con nemici di altissimo profilo pari a quelli con cui ha avuto a che fare nel buio profondo. Occorre ammettere che Salvatore risponde a queste penalità con la cosa più sensata, che potremmo riassumere così:…

botte da orbi!

Azione, combattimenti e avventura sono all’ordine del minuto e R.A. Salvatore ne inserisce in abbondanza perchè sa perfettamente che questa è una giuntura conclusiva e che le migliori cartucce sono ormai state sparate nelle due storie precedenti. Abbastanza evidente è il fatto che L’Elfo Scuro è ormai un vero tritacarne con le sue scimitarre, che siano bruti briganti, orchi, “spiriti infausti” o giganti, nulla resiste alle sue lame ma anche questa cosa, non ci crederete, riesce incredibilmente a funzionare bene, e questo perchè noi abbiamo vissuto tutto l’addestramento del primo libro con Zaknafein; i suoi primi combattimenti; la sua fase da “cacciatore barbaro” dove ha affrontato praticamente di tutto. L’aura di imbattibilità di Drizzt non appare a buon mercato ed è davvero ben costruita, ed in questo particolare c’è stata la lezione ben imparata dal grande maestro Robert E. Howard. Molti eroi di vecchie saghe come ad esempio Aldric Talwin o Cabe Bedlam, emerge come la loro aura di imbattibilità sia davvero imposta e forzata rispetto a quella di Drizzt. Le fasi finali sono apprezzabilmente generose, è abbastanza ammirevole il modo in cui Salvatore punti all’abbondanza per sopperire ad una trama scarsa senza perdere il controllo. Il romanzo ci regala una battaglia in formato “pocket” (o rissa armata) nell’attacco al boschetto sacro di Montolio che vede Drizzt, gli Elfi, tra i quali il legolas della situazione Kellindil e gli amici animali del saggio contro il signore della guerra orchesco, il quickling, Roddy, e il branco di Worg (simili ai tolkeniani Warg non solo nel nome). In seguito ci sarà spazio anche per un Drago, il clan nanico nell’arroccata cittadella di Ten Towns,  e per l’incontro con Cattie-Brie e il nano Bruenor Battlehammer (non credo ci sia bisogno di spiegare chi siano) fatto che crea le premesse per la grande saga successiva e di cui siamo già a conoscenza dato che conosciamo fin troppo bene i componenti del party di Drizzt e delle sue leggendarie avventure nelle storie temporalmente successive. Se proprio si vuole essere puntigliosi forse si potrebbe storcere il naso sulla scelta del coriaceo e inestirpabile nemico del romanzo, e su come un antagonista come Roddy Mc Gristle, un semplice cacciatore di Taglie, sia così influente su un capo orchesco e un quickling, ma questo, appunto, è essere molto puntigliosi.

Conclusioni

Ovviamente, si può concludere con semplicità, dicendo che i primi due romanzi della trilogia di Drizzt sono indubbiamente molto buoni per le loro pretese, e anche il terzo, pur in calo, risulta piuttosto gradevole. Ma per capire davvero il valore e la sua posizione effettiva in una potenziale nicchia di merito nella Fantasy occorre porre alcune domande e tentare di rispondervi:

Quanto riesce ad affrancarsi dalle dinamiche GDR? come se la cava nel paragone con gli altri romanzi dei Reami Dimenticati? Come se la cava nel paragone con i romanzi degli anni ’80 che hanno influenzato il suo settore? Come se la cava se paragonato al suo “genitore”? Come se la cava se paragonato al suo possibile concorrente diretto?

Andiamo per ordine. Indubbiamente all’inizio del primo libro, si vedono spesso “Globi di Tenebra” e skill di razza eccessivamente specifiche, eseguite anche da personaggi “comuni”, il che potrebbe spiazzare un lettore esclusivamente letterario. Bisogna tuttavia ammettere che il tutto, progressivamente, si affievolisce a livelli sopportabili. La Trilogia degli Elfi Scuri è indubbiamente superiore a gran parte dei romanzi Forgotten Realms, molto più autoriale di Dragonlance e sebbene anch’esso si rapporti direttamente con la Fantasy lievemente annacquata di David Eddings, rimane una delle saghe (soprattutto nei primi due libri) dei Reami Dimenticati che può accontentare anche i lettori Fantasy orientati alla Sword & Sorcery, cosa impensabile per la Saga di Elminster, Myth Drannor, Luci e Ombre e tutti gli altri. Ovviamente un paragone con il suo genitore diretto è infattibile, a meno che non si voglia vedere Drizzt annientato. Ma siamo seri, quali saghe o romanzi non escono con le ossa rotte da un confronto con Elric di Melnibonè? la risposta è l’ottanta (o anche oltre) per cento di tutta la Fantasy (sia classica che Sword & Sorcery) mondiale. Certo, anche la sfida con il “concorrente diretto” di Drizzt sembra insormontabile;… sembra. Ma cerchiamo di essere obiettivi. Ovviamente, The Witcher gioca su un livello diverso, e ha una pretesa autoriale di partenza molto più alta, questo potrebbe bastare a farlo passare come “migliore”, ma se il paragone è condotto su un piano proporzionale, Geralt di Rivia è un eroe “extrasensoriale” piuttosto fumettistico, e la sua saga incappa in cali qualitativi progressivi irreparabili. Dietro una coltre indubbiamente autoriale il risultato ottenuto non è molto diverso, ovvero una semplificazione e banalizzazione di Elric di Melnibonè, che nel caso di Drizzt è onesta e genuina. Si potrebbe infatti operare una sintesi estrema dicendo che Drizzt è una banalizzazione di Elric, con presupposti psicologici nel principio della sua mentalità molto più deboli, ma con un eroismo guerriero davvero ben costruito, e un gradevole “conanismo” che Salvatore ha preferito “all’arturianismo”, rinunciando alla spada magica e altri tipi di elementi utili a rendere un protagonista degno di una saga.

Note

1 – Le saghe letterarie dei Forgotten Realms sono leggermente successive a quella di Dragonlance. La primissima saga FR è La Trilogia delle Terre Perdute, con Drizzt, Bruenor e Wulfgard protagonisti. La Trilogia degli Elfi scuri è effettivamente un prequel

Pubblicato da Pat Antonini

Ha studiato letterature e lingue straniere moderne. Collabora stabilmente con Hyperborea, Centro Studi Eurasia-Mediterraneo, Dragonsword e Punto di Fuga.