Le Campane (Charles Dickens)

Proprio come Il Patto con il Fantasma, anche Le Campane (1844) è una “storia satellite” del micro-sistema dei “Christmas Books” il cui fulcro solare è ovviamente Il Cantico di Natale (1843), la celebre opera di Scrooge. Charles Dickens, si dice, pare sia stato ispirato dal fragore delle campane genovesi per scrivere questo racconto fantastico, che stavolta però non verte sui fantasmi e la letteratura “gotico-natalizia” tipica dei suoi “Libri di Natale”, bensì sui goblin e folletti. In queste storie di Dickens, se gli spettri sono il rapido e inaspettato brivido di freddo nella riscaldata notte di natale, i goblin, al loro uso equivalente, sono il prurito scoppiettante di questi tepori del focolare. Entrambi, si vuole intendere, arrivano a disturbare un po’ la nostra comodità, e questo è del tutto naturale, ma non necessariamente il sovrannaturale passa all’azione per il male, tutt’altro è proprio il suo intervento a Natale a dare un senso a delle vite immerse in contesti che Dickens amava ritrarre, dove in realtà non è mai veramente festa, e dove è difficile nutrire speranze quando i tempi sono sempre più grigi. La sfida che Dickens ingaggia, in fin dei conti, non è altro che raccontare nel tempo del Natale, a delle persone comode, coperte e riscaldate, il più comodamente possibile, un qualcosa che di per sé assolutamente scomodo, ossia la verità.

In questo racconto Il volume in termini di pagine non è tanto diverso da quello de Il Patto con il Fantasma, tuttavia il primo viene – non so come – percepito più breve e scarno di quel che è, mentre questa storia di “Goblin” ha un sapore finale più sostanzioso e pieno. Di simile, rispetto alla vicenda dell’esimio professor Redwall c’è tuttavia la solita, ma non scontata, struttura critica sociale, cruda ma speranzosa, moralista ma non ortodossa, intenta a denunciare i mali della società inglese e ad auspicare un cambiamento sociale da un lato, ma sempre attenta a tenersi contenuta nel conservare un aggregante “cristianesimo del focolare”; tutti elementi che fanno di Dickens quel che è: un maestro e un pensatore di statura notevole.

Chissà cosa deve aver pensato Charles Dickens quando, insieme alla moglie Kate, sobbalzava alle assordanti scampanate genovesi,  forti e fragorose, proprio come le suonava Toby “trotty” Veck, un personaggio indubbiamente già di partenza più simpatico di Ebenezer Scrooge, seppur anche lui abbia le sue colpe. Charles Dickens non lo biasima in senso stretto del termine, ma pur mettendo in luce i suoi lati buoni, non lo assolve neanche del tutto, e le sue lacune saranno esplicitate quando lo stesso Trotty, richiamato dal mistero delle campane, si troverà difronte al notturno e brulicante spettacolo di “… fantasmi, nani, spiriti, creature elfiche e Goblin […]”. 

Regna la solita scrittura elegante e coinvolgente, sempre bilanciata tra realismo e le influenze romantiche. Lungo la storia vengono progressivamente inseriti personaggi che Charles Dickens riesce ad integrare bene, sia quelli positivi come Meg, Lilian e Will, usati per ammantare con un po’ di delicatezza il crudele mondo di abbandono e disuguaglianza con le carezze, le speranze e gli insegnamenti divini, sia quelli maggiormente biasimabili, utilizzati invece dalla voce narrante per orientare le nostre simpatie, e quest’ultimi rappresentano senza dubbio personaggi dove Dickens esprime il suo sarcasmo più sferzante oltre che la capacità di disegnare con poco sforzo caratterizzazioni umoristiche con finalità critiche; il vanaglorioso assessore, lo strumentalmente paternalistico Sir Bowley, il politico e utilitarista nonchè cinico economista  Mr. Filer. Il contatto con i Goblin e le varie creature incantate è a suo modo suggestivo, e nonostante la capacità di conservare una certa leggerezza, la storia non risparmia delle autentiche “mazzate” – come Dickens stesso le definì – che si esprimono principalmente nei peccati commessi da personaggi che, volenti o nolenti, sono impegnati a vivere una realtà assai perigliosa, basata su un intento che è per antonomasia arduo, e che effettivamente non si può ben esprimere se non usando la più dickensiana delle formule:

conservare “grandi speranze” in “tempi difficili”

Avremmo dovuto capire subito che bastava comporre una frase con questi due titoli per riassumere il tutto, anche perchè, le svolte positive, vi assicuro, dovremo sudarcele. Non c’è che dire: questi racconti di Dickens lasciano sempre delle oneste e significative soddisfazioni. Non mancano naturalmente neanche qui quelle linee sovrapposte a Il Cantico di Natale, ma questo, tutto sommato, è anche giusto. In fin dei conti è A Christmas Carol il sole di questo sistema, o ancor meglio, il focolare di questa casa. Il Patto con il Fantasma apre bene alle riflessioni dickensiane, ma è indubbiamente molto più panoramico rispetto a questo racconto che invece, raggiunge dei soddisfacenti richiami ai ricorrenti cavalli di battaglia di questo straordinario scrittore.

Note

Articoli Simili: Il Patto con il Fantasma

Pubblicato da Pat Antonini

Ha studiato letterature e lingue straniere moderne. Collabora stabilmente con Hyperborea, Centro Studi Eurasia-Mediterraneo, Dragonsword e Punto di Fuga.