Somewhere out in Space (Gamma Ray, 1997)

Nel 1997, con la produzione di Kai Hansen e Dirk Schlächter , esce un album davvero coi fiocchi: Somewhere Out in Space. Questo è il quinto della band tedesca, successivo all’altrettanto importante Land of the Free (1995) e precedente a Powerplant (1999). I Gamma Ray si trovano in un momento di forma e  continuano inarrestabili a sfornare album validissimi uno dietro l’altro. 

Contrariamente a Land of the Free dove regna un’atmosfera più Fantasy qui le tematiche delle quattordici tracce per circa sessantaquattro minuti di musica vertono sullo spazio, la galassia e tutta l’immensità extra-terrestre. Sia nella release giapponese che nella rimasterizzazione del 2003 compare nella track-list la cover degli Uriah Heep dal titolo Return to Fantasy, che invece è assente nella prima edizione del disco. Il vezzo sarà proseguito nel successivo Powerplant, dove i Gamma Ray eseguiranno it’s a sin dei Pet Shop Boys. La line up nel disco presenta due cambi importanti, Dirk Schlächter, precedentemente alla chitarra passerà al basso per sostituire l’uscente Jan Rubach, facendo posto ad Henjo Ritcher, che sarà in seguito per ben undici anni (2000-2011) il chitarrista degli Avantasia di Tobias Sammett. L’altro cambio è invece l’ingresso del maestro della doppia cassa Dan Zimmerman, proveniente dai misconosciuti Lanzer e in seguito martellatore, anche lui per undici anni (1999-2010) nei Freedom Call.

I cambi sembrano funzionare, e data la caratura e le carriere dei due nuovi musicisti questo non sorprende. L’album parte molto forte con la opener Beyond the black hole, una canzone ben riuscita, tirata, con buoni riff e dal ritmo pienamente Speed Metal. Men, Martian and Machine è meno veloce, più ritmata e con un bel refrain. No Stranger e un’altra ottima canzone dal sapore più melodico. Rapidamente si arriva alla title-track, che ritorna ad accelerare in maniera speed come la prima, arricchita da cori coinvolgenti e anche qui un refrain memorabile. Dopo Somewhere out in Space, segue Guardian of Mankind, ennesimo brano riuscito dall’attitudine ritmata, richiamo helloweeniano e con un potente chorus. La brevissima pausa dell’interludio The Landing conduce alla memorabile, epica e galoppante Valley of The Kings. Siamo alla metà del disco ed è facile accorgersi che abbiamo ascoltato una successione di sei canzoni (escludendo il breve interludio) decisamente spettacolare.

Nelle fasi successive l’album accusa un leggero calo, dovuto a mio personale avviso al fatto che i Gamma Ray tendono a sovraccaricare di pezzi e intro-song ogni disco. Forse una scrematura e un prodotto finale più asciutto avrebbe inflitto qualche penalità in meno. Brani come Pray, Winged Horse o Lost in the Future pur non essendo filler e tantomeno brutti abbassano lievemente la media e sono, sempre secondo il personale parere inferiori alle tracce precedenti sia come riffing che come songwriting in generale. Nella seconda parte dell’album non mancano ovviamente zone degne di nota, come l’ottima Watcher in the Sky , una vera perla, poco inferiore alla title-track e a Valley of the Kings, e così anche la particolare closer Shine On, che potrebbe avvicinarsi alle sonorità dei Queen e che forse sarebbe uscita ancora meglio con un assolo di chitarra del quale è sprovvista. Tuttavia, i momenti più riusciti della seconda parte dell’album sono divisi tra loro da tratti meno esaltanti e interludi vari che finiscono per sottrarre impatto e risolutezza all’opera. Questi piccoli difetti ovviamente non impediscono a Somewhere out in space di essere un album valido, epico, arioso e con un ottimo impatto generale, che a mio potrebbe corrispondere  ad un:

88/100

Note

Nota: l’immagine dall’atmosfera egizia, fa parte del concept art delle varie tematiche di Somewhere out in Space

The Hard & Heavy By Me – Somewhere out in Space

 

 

About Alessio Tarsitano 6 Articles
Amministratore del canale you tube The Hard & Heavy By Me, appassionato di Heavy Metal, Rock, Hard Rock, e tutti generi limitrofi