
Incontrati tra le pieghe dell’ultimo Oblivion romano, ci siamo poi letterariamente e idealmente
intrattenuti con la coppia autoriale Smojver & Berneschi per un preciso motivo e nel particolare,
un sottotitolo: “Orchi in Toscana”; ci è piaciuto.
Eccoci quindi con una chiacchierata informale su una delle ultime sfornate romanzesche di
letterelettetriche.it, ovvero “Zanne e Acciaio: Orchi in Toscana”. Prima dell’approfondimento vero
e proprio, ne riportiamo la quarta di copertina.
Nell’annus horribilis 1348 la pestilenza, come un fuoco tra gli sterpi, sterminò un terzo della popolazione d’Europa. E come fosse caduta una barriera, dalle paludi e dalle foreste del nord emersero creature dimenticate, crudeli orchi, maligni goblin, koboldi ed elfi, e si sparsero per l’Italia. Nella Toscana sopravvissuta alla Peste Nera, tra battaglie e saccheggi, eroismo e magia, vivono gli orchi Garzok e Shazdook, i venturieri Gulfardo e Zima, l’ardita Leonora degli Ubaldini, l’elfa Alatyel, il koboldo Heinz e il gatto Saladino. Il Decamerone degli Orchi.

In foto: Giorgio Smojver (sx) e Andrea Berneschi (dx)
Bentrovata alla coppia di autori e grazie per la disponibilità a fare due chiacchere qui su
Dragonsword. Veniamo al dunque…
Orchi in Toscana, l’idea è allettante. A chi è venuta per prima?
GS Circa un anno e mezzo fa Andrea, per gioco, realizzò con la AI alcune immagini di orchi e
goblin sullo sfondo della sua città, Arezzo. Mi divertì e gli scrissi, ma perché non facciamo
assieme una storia da questo spunto? Si convinse. Dato che lui aveva scelto il luogo, io scelsi il
tempo: scartai l’idea di un urban fantasy contemporaneo e immaginai che il dilagare degli orchi
fosse avvenuto con la Peste Nera, l’epidemia che quasi spopolò l’Europa a metà del Trecento.
AB Confermo. Le immagini AI erano uno scherzo da social, ma anche un riverbero del mio
amore-odio per questa città. In effetti Arezzo negli ultimi anni è peggiorata in ogni senso, è in
preda al degrado, e mancherebbe davvero una bella invasione di creature antropofaghe armate
di spade e mazze rugginose per dargli il colpo di grazia. Poi nel carattere di noi aretini qualcosa
di orchesco c’è sempre stato; se ne era accorto anche Dante. Dopo la valle del Casentino
l’acqua dell’Arno “Botoli trova poi, venendo giuso/ ringhiosi più che non chiede lor possa,/ e da
lor disdegnosa torce il muso” (Purgatorio, XIV, 46 – 48).
Ci parlate, dal punto di vista autoriale, dell’opera in questione?
GS Abbiamo cominciato quasi per gioco, scrivendo per divertirci e divertire. Ma il gioco è
qualcosa che noi pigliamo sul serio. C’è molta ricerca dietro, linguistica, geografica e storica. I
dettagli sono molto curati, ma abbiamo cercato di non far pesare affatto il nostro lavoro di
ricerca sul lettore. Il tono è lieve.
AB Scriverlo è stato divertente e naturale; la prima stesura è venuta da sé, come acqua da un
rubinetto. Una volta finito abbiamo limato e dedicato un editing approfondito ai vari capitoli, che
ha preso più tempo. Ma questa facilità di scrivere, almeno nel mio caso, era aiutata da una
nuvolaglia caotica di pensieri, appunti e materiale che preesisteva. Quando Giorgio mi ha
proposto di scrivere di orchi, infatti, mi è tornato alla mente un mio vecchio progetto di un
“fantasy militare” in cui queste creature entravano alla leggera in un esercito organizzato; in un
primo momento gli orchi erano entusiasti per le possibilità di violenza e si saccheggio, ma si
accorgevano presto di quanto la disciplina e l’obbedienza agli ordini fossero in forte
contraddizione con la loro natura.
Com’è andata la scrittura in coppia? Era la prima volta?
GS Avevo cooperato con altri autori in antologie, ma lì ciascuno aveva un proprio racconto. È
stata la prima narrazione a quattro mani, per me. Uno scriveva un capitolo e lo girava all’altro,
che lo leggeva e scriveva il successivo. I primi quattro capitoli sono improvvisati in completa autonomia. Poi abbiamo concordato una trama, anche perché i nostri due personaggi chiave
(Gulfardo per me, Garzok per lui) dovevano incontrarsi. Ma è stato come la commedia dell’arte:
fissato un canovaccio, ciascuno inventava la sua parte. Poi ci si editava l’un l’altro.
AB È stata una scommessa, e direi che l’abbiamo vinta. In generale, per me, più passa il tempo
e più “scrivere” diventa sinonimo di “collaborare”. Ho iniziato pubblicando racconti horror nel
blog (ora offline) di Alessandro Gori, che è ormai uno scrittore famoso, e veramente si può
definire classicizzato in vita. Con Michele Borgogni ho progettato il mondo di “Europa Nera” e
l’antologia di fantasy surrealista e psichedelico “Hallucigenia” (un’altra nostra antologia è in
arrivo a breve, e non sarà l’ultima). Per la raccolta di racconti “Abissi del Tempo e dello Spazio”
ho chiesto di occuparsi dell’editing ad Andrea Gibertoni, un mostro sacro del Weird italiano.
Perché l’atto di scrivere dovrebbe essere solitario? Un film si realizza sempre in gruppo, con
altre decine o centinaia di collaboratori. Anche nella scrittura bisognerebbe buttare a mare il
mito dell’artista geniale e romantico, chiuso nella sua torre d’avorio. Se trovo scrittori in gamba
con cui c’è sintonia umana e un rapporto di fiducia lavoro meglio che da solo. E infatti a quattro
mani sto già scrivendo un’altra cosa…
Zanne e Acciao: fantasy storico? Sword&Sorcery? Altro?… illuminateci.
GS Potremmo definirlo un fantasy storico-picaresco, ma non sbracato. I personaggi non sono
ridicoli: lo sono a volte le situazioni. Gulfardo è un vero cavaliere, ha coraggio e onore, deve
però adattarsi per sopravvivere in un mondo che ormai dà poco spazio alla cavalleria. Garzok è
un primitivo (ma non stupido) catapultato in una società complessa che comprende solo in
parte. I soli personaggi volutamente ridicoli sono i maghi. Diciamo la verità, ci scocciano i maghi
so-tutto-io tipo Gandalf o Albus Silente.
AB Come dicevo prima, è anche un fantasy militare. Ha venature grimdark e a volte persino
splatter. C’è una ricostruzione storica e geografica accurata al dettaglio, ma su questa abbiamo
aggiunto orchi e goblin che hanno lasciato le loro terre per mettersi al soldo degli umani. C’è
avventura, magia, orrore e anche un po’ di umorismo. Come dice Giorgio i nostri personaggi
non sono macchiette comiche o figure stereotipate: lottano per la vita, l’oro e la fama e
prendono molto sul serio lo scenario in cui si muovono.
Toscana circa 1300/1400, tanto per fare una citazione… che ruolo ha l’inquadramento
prettamente “storico” nel romanzo? Vi siete ispirati a qualche luogo o evento in
particolare?
GS Per i luoghi, risponde Berneschi. Molti personaggi si trovano nelle Cronache: Pier Saccone
Tarlati, Il conte Lando, Corrado Lupo… ovviamente reinventati. Il conflitto tra i Visconti e
Firenze, l’assedio di Scarperia, con cui inizia la seconda parte, sono storici: di mio ci ho
aggiunto il biscione. Ho inserito dei brani di poesia, miei, liberamente ispirati ai poeti del Tre e
Quattrocento.
AB Per immaginare come fossero cinquecento anni fa i luoghi in cui sono cresciuto non basta
lo studio di testi storiografici ma serve anche un po’ di fantasia. Arezzo, città antichissima, di
origine etrusca, che dietro le vecchie pietre nasconde complotti e segreti; le strade per il
Valdarno e la Valdichiana, con la collina di Olmo anche oggi in odore di “luogo infestato”; la via
per il Casentino, terra selvaggia e ricca di foreste. E poi Firenze, con un milieu socioeconomico
molto più complesso, dove nel medioevo anche un orco sarebbe passato quasi inosservato.
“Il Decamerone degli Orchi”, si legge nella quarta di copertina. Sono previsti anche
scenari erotici, magari tre venturieri e Koboldi?
GS Le scene erotiche sono poche e molto pudiche. La sola scena di sesso descritta in dettaglio
è quella tra il gatto Saladino e la gatta islamica Mu’izza. Il Decamerone è ricco di storie
avventurose, spesso trascurate. Alcuni caratteri sono presi proprio da lì: Gulfardo, il Zima,
Maestro Simone. E Boccaccio che è anche personaggio.
AB È soprattutto un romanzo avventuroso, e le storie del Boccaccio che ci hanno più ispirato
sono state quelle in cui i personaggi tramite mille peripezie provano il loro valore umano (o
orchesco). Le scene di sesso o anche le battute a sfondo sessuale non ci interessano; “Zanne e Acciaio: Orchi in Toscana” potrebbe essere letto da un’educanda, come si sarebbe detto
qualche anno fa. Se l’educanda regge alle scene horror.
Ma perché “venturieri”?
GS è il termine dell’epoca per designare i cavalieri mercenari: di ventura, appunto. Le scene di
combattimento sono curate, con l’aggiunta di orchi, grifoni, biscioni e gatti giganti. Devo
ringraziare Marco Rubboli per i suggerimenti nell’uso delle armi.
AB Noi orchi non facciamo di queste distinzioni e non usiamo parole come queste. Siamo gente
semplice; se Smojver usa il termine “venturieri” avrà le sue ragioni. In battaglia dà prova di
coraggio e ci tratta da pari; averlo a fianco mentre si assalta una torre fa sempre comodo. Tra gli
umani è uno dei migliori: cucinarlo sarebbe uno spreco.
Convinceteci in una riga a comprare due(!) copie dell’opera.
Se non le comprate vi mandiamo all’uscio di casa due o tre orchi che non mangiano da una
settimana, dotati di mannaie, timo, prezzemolo e alloro. Pentole ne avete, giusto?
Scherzi a parte, grazie per il tempo passato assieme, in bocca a lupo ad autori e casa editrice
ma soprattutto buona lettura a tutti.
