Wolfbane: Elric di Melnibonè e non solo

Non saprei neanche dire quale istinto olfattivo da metal-mannaro – visto che qui Lupi Mannari non mancano – mi abbia portato a questo lavoro degli Wolfbane, una band delle tante, una band di fatto mai esistita veramente, sepolta completamente dal tempo, da non confondere con i più blasonati Wolfsbane di Blaze Bailey che raccontano un’altra storia, ben diversa dalla semplice differenza di una “s” che rende poco distinguibili i loro nomi. Essenzialmente Compilation, registrato e messo sul mercato da Shadow Kingdom Records  qualche tempo fa (2009) fa racchiude i due demo pubblicati nella breve vita della band (1980-1984) dal titolo Wolfbane (1981) e Bethany’s Sin (1982). Dopo il secondo dei due, c’è stato spazio per altri due anni di attività, concerti nei locali e prove nel garage, prima dello scioglimento nel 1984.

Come concetti generali – tanto per tracciare un identikit di massima – si può dire che gli Wolfbane sono caratterizzati da una forte impronta sabbattiana e una somiglianza non necessariamente di tipo derivativo con i Pagan Altar. Quest’ultimi registrarono nel 1982 un demo più ricco dei due degli Wolfbane, ma hanno poi rilasciato un Full-Lenght solo nel 1998 con incise sostanzialmente le stesse tracce del vecchio demo. Non sono pertanto convinto di potermi esprimere su chi dei due abbia influenzato l’altro, probabilmente nessuno. Il suono degli Wolfbane è ovviamente invecchiato, cupo, notturno, un ronzio di calabrone che esplode da vecchi amplificatori ammuffiti in qualche garage umido e abitato da topi e pipistrelli nella periferia inglese, eppure funziona e non lascia a desiderare altro. Tutti e sei i brani sono contraddistinti da una sezione ritmica solida formata da Dale Lee (Basso) e Rick Henshaw (Batteria) sotto un riffing solido e sabbattiano, abbinato a buoni solos che lasciano soddisfatti, ad opera dell’unico chitarrista, Gramie Dee, che è anche alla voce. Anche se le linee vocali dettate da Gramie Dee sono abbastanza inquadrate e regolari, appaiono meno schematiche rispetto a quelle di Ozzy, mentre la base del timbro vocale ricorda quella di Terry Jones dei Pagan Altar, con la differenza però che se Gramie Dee risulta essere più psichedelico, impreciso e dallo stile “nevrotico”, il cantante dei Pagan Altar appare più Folk, evocativo e ritualistico, risultando probabilmente superiore almeno secondo gusti personali. Considerando anche che Compilation è formato da 6 registrazioni ricavate da due demo diverse, è davvero un miracolo il fatto che riesca a funzionare così bene: era una band pronta al Full-Lenght, questo è poco ma sicuro. Le tematiche sono molto oscure, con una presenza costante di stregoneria e Lupi Mannari, eccetto il brano su Elric di Melnibonè. A quanto riportano i vari siti specializzati, i membri sono ancora probabilmente in attività in altre band, questo sicuramente mitiga un po’ quel malinconico senso di lontananza che potrebbe provocare un ascolto del genere.

Apre le danze la canzone omonima alla band e dello stesso demo: Wolfbane, un brano che si conforma a metà strada tra il primissimo Heavy Metal britannico degli inizi ’80 e l’Hard Rock anni ’70 dei Black Sabbath, soprattutto nei momenti più psichedelici. Un brano che poteva essere stato scritto da band come i Demon nei momenti più acerbi e non avrebbe sfigurato più di tanto. La stessa forma, ma con un ritmo meno vivace arriva con le tracce numero due e tre, Leave Me e See You in Hell, dotate di un ispirazione melodica e una linea vocale superiore alla prima. Queste caratteristiche portano qualche guadagno alla voce di Gramie Dee qui meno psichedelica ma più emotiva. Entrambi i brani abbandonano l’Horror dei Lupi Mannari che vagano nella notte metropolitana per accedere alla dimensione di un Hard Rock più alchemico, esoterico e fosforino, ben adattato allo slow-tempo degli albori del Doom. I solos di tutti e due i brani, suonati sempre da Gramie Dee, sono coinvolgenti e pregni di emotività. Alcuni tratti di See You in Hell rimandano in maniera piuttosto riconoscibile a Snowblind dei Black Sabbath. 

Il secondo terzetto di canzoni tratto da “Bethany’s Sin” si apre con la narrazione più Fantasy e oscura di Elric of Melniböne, un brano che riprende una maggiore velocità, che tuttavia sarà sempre sul mid-tempo. Anche questa composizione sembra restituire una lieve e singolare somiglianza, e stavolta con Owner in a Lonely Heart degli Yes che però fu scritta un anno dopo. Quello dedicato al mitico eroe albino Elric e a Michael Moorcock è un ottimo brano Hard ‘n’ Heavy tipico degli inizi degli ’80, dove non mancano le venature settantiane. Si ritorna al tema dei Lupi Mannari con The Howling, una composizione che ritorna sulla leggera psichedelia, e su un ritmo che non si discosta molto da brani più tipici di band come Witchfinder General o altre della scena sia inglese che americana; sia Heavy Metal classico che sfocianti nel Doom. Chiude il sipario l’atmosfera stregonesca di Midnight Lady, un brano a metà strada tra i Black Sabbath di inizio anni ’80 e gli Iron Maiden, soprattutto per l’approccio chitarristico, una closer che offre una chiusura degnissima.

Nonostante un sound ovviamente invecchiato questa compilation è sorprendente, ben costruita e compatta, senza dubbio fondata su brani autentici e solidi, a formare due demo che avrebbero portato indubbiamente ad un buon album. Anche se la band non è sopravvissuta agli inizi della NWOBHM, essendo durata dal 1980 al 1984, senza incidere mai un debut album, riporta in pieno lo spirito della corrente britannica del primissimo Heavy Metal, composta da talenti autentici, che rappresentavano una parte del popolo che era esistente, che affrontava in altri modi i propri demoni prendendo le distanze, o quantomeno non ancorandosi necessariamente a miti come “Sex Drugs and Rock and Roll” o ai contenuti sociali e politici degli anni ’70 o di Woodstock, anime realmente ribelli oltre l’invisibile. Il senso di irreperibilità e lontananza che potrebbe dare un ascolto del genere, di una persona che – come il sottoscritto – 30 anni dopo, da un’altra parte del mondo, si trova alle prese con due demo dei primi anni ’80 di tre giovani musicisti della provincia inglese è ovviamente mitigato dal fatto che le due registrazioni dell’81 e dell’82 sono state riunite nel recentissimo 2009 da Shadow Kingdom Records e distribuite. E forse un motivo c’è. Ciononostante è naturale provare certe sensazioni, pensare alle molte band che sono rimaste nel garage. Ascoltare questa compilation di due demo non è affatto come bere un vino invecchiato, quella è più una sensazione che si ha con vecchi album di band diventate grandi, è più simile al massimo a bere una bottiglia di vino nella vecchia casa di un morto e scoprirlo a brindare con noi, ancora assetato per qualche motivo.

Note

Metal Archives – Wolfbane

 

 

Pubblicato da Pat Antonini

Ha studiato letterature e lingue straniere moderne. Collabora stabilmente con Hyperborea, Centro Studi Eurasia-Mediterraneo, Dragonsword e Punto di Fuga.