William Morris: sorgente del fantastico

Allorchè si è alle prese con l’esigenza d’una definitiva conclusione sulle origini della narrativa Fantasy, si nota ormai da anni nel pubblico del settore una divisione che consiste in più o meno diffuse linee di pensiero. Il più delle volte il merito di aver prodotto la genesi del genere viene attribuito a Tolkien e a Lo Hobbit (1937). Meno spesso, ma sempre in discreta diffusione, si ascrivono gli inizi della Fantasy ai romanzi fiabeschi come Pinocchio, Alice nel paese delle Meraviglie, Il Mago di Oz e Peter Pan. Più infrequente è l’assegnazione dell’attributo della precursione alle varie “Fairytales” pubblicate nel corso dell’800, ovvero quei racconti d’imprecisata antichità, sopravvissuti generazionalmente dalle mitologie e tratti dagli humus popolari, per un ripristino e ammodernamento allo scopo di riproposizione – quando a forma romanzesca, quando antologica – diretta anche al pubblico adulto. Ricordiamo tra questi William Butler Yeats e le sue Fiabe Irlandesi, Le Fiabe dei fratelli Grimm e Andersen, le Fiabe Norvegesi di Asbjørsen e Moe e ultimo non certo per importanza, Le Fate dell’Ombra di George MaC Donald. Sarebbe certamente utile chiarire se la differenza tra precursori e iniziatori effettivi sia rilevante per le voci di queste opinioni, ma evitando di formalizzarci in queste sottogliezze, proponiamo noi una quarta risoluzione assolutamente meno praticata tra gli appassionati:

William Morris ha inventato la narrativa Fantasy.

Se le prime affermazioni, quella su Tolkien e quella sui quattro romanzi fiabeschi di Collodi, Carrol, Baum e Barrie, risultano essere incongrue la terza è indirettamente e parzialmente veritiera. Solo una però si accosta con accuratezza alla realtà, ed è la quarta. Se si considera la Fantasy nella sua accezione propria, vale a dire; quel genere letterario contraddistinto dall’elemento del “Secondary World” e della rigorosa ispirazione medievale/antica potremmo stabilire che La Fonte ai confini del mondo e Il Bosco oltre il mondo corrispondono ai due primi romanzi fantasy “propriamente detti”, aggiungendo, in primo luogo che,  il meraviglioso The House of Wolflings è senza dubbio il proto-fantasy per eccellenza per valori espressi, potere d’influenza e resa estetica delle sue atmosfere. In secondo luogo anche The Sundering Flood ¹ riflette perfettamente una attitudine Fantasy, aumentando l’ampiezza del genere verso quel comprensorio di elementi e concetti che oggi definiamo High Fantasy

“…William Morris ha inventato questo genere di storie, Eddison e Dunsany hanno proseguito il discorso”. (Lyon Sprague De Camp) [1]

Con l’esordio La Terra Cava (1856) Morris da vita ad un racconto fiabesco non immune da qualche tratto nebuloso, lievemente anticlimatico e con un forte riflesso cavalleresco e romantico. La storia di ricerca e accesso al portale della Terra Cava ha un certo contrasto emotivo provocato dalle gioie dell’amore e la lacerante malinconia della solitudine. Sulla base di questa alchimia emozionale ribolle una pozione di riflessioni sull’amore, sulla redenzione, l’arbitrio e la vendetta. Anch’esso scaturisce dalla caduta in un sonno profondo come avviene in Notizie da Nessun Luogo (1890) e come in parte anche in Un sogno di John Ball (1888); ove il protagonista, dopo aver annusato un Papavero magico si risveglia nel medioevo trovandosi nel mezzo d’una rivolta contadina contro la tirannide di una elìte di signorotti. Dopo l’esordio seguirà una lunga attività poetica incline alla restaurazione epica dei poemi non dissimile da quella che svolgerà Tolkien anni dopo, composta ad unisono alla sua attività di artista e artigiano, scrittore di saggi socialisti e protettore di edifici antichi². Solo dopo la lunga avventura nei poemi epici e dopo l’uscita del sovracitato romanzo utopico Un sogno di John Ball , Morris nel 1888 arriverà alla pubblicazione di House of the Wolflings Roots on the Mountains appena un anno dopo, chiudendo poi nel 1890 il prolifico triennio con  Story on the Glittering Plain. Tutti e tre i romanzi sono considerabili dei proto-fantasy, dotati di un impianto fantastico fin troppo ingombrante per una ambientazione reale. Nei primi due è ritratta con toni epico-romantici l’epopea degli Wolflings coinvolti rispettivamente sull’arco dei due romanzi nella Guerra con Romani prima e Unni poi. Nel terzo del trittico, pur nel trasparire d’uno scenario genericamente Nord-Europeo, a sfondo delle gesta del  protagonista Halbithe della “House of Crow“, appare più indefinita l’ambientazione fondale che offre circostanze britanniche, germaniche con macroscopici riferimenti ai poemi epici e le leggende islandesi. Saranno pubblicati nel finale della sua vita i tre romanzi che – secondo la prospettiva che maggiormente ci interessa qui, quella della narrativa Heroic Fantasy – potremmo definire “ad alta sensibilità”: Il Bosco oltre il Mondo, La Fonte ai Confini del Mondo e The Sundering Flood.

Le tre opere sono concretamente appartenenti alla Fantasy e di fatto sanciscono la nascita del genere. I tre rispettivi protagonisti: Ralph, Walter Golden, Osberne Wulfgrimson si muovono in un “mondo secondario” dalla geografia inventata e caratterizzata da una rigorosa ispirazione medievale. In The Sundering Flood, l’ambientazione raggiunge una non trascurabile definizione di città, clan e corporazioni oltre ad essere corredata da una mappa come sarà nella tradizione dei romanzi fantasy classici negli anni futuri. Non è certamente possibile non attribuire ad esso un’influenza enorme sui “narratori-worldbuilder” che hanno nel Secondary World un tratto fondamentale come – tra i tanti – Tolkien e la lunga linea dei successivi. The Sundering Flood presenta elementi psicologici solo parzialmente canonici. I due protagonisti, sia il guerriero valoroso Osberne Wulfgrimson che l’amante Efhild sono artisti, pervasi da un trasognato romanticismo che arricchisce il semplice percorso avventuroso. Se infatti Ralph e Walter Golden, mostrano la fisionomia di eroi che seguono tendenzialmente un sentiero individuale non diverso da Conan il Barbaro o da altri avventurieri dei romanzi storico-avventurosi ottocenteschi come quelli di Alexandre Dumas o Emilio Salgari, Osberne Wulfgrimson (Ma parzialmente anche Ralph nelle battaglie finali per il Regno di Upmeads) traccia un percorso diverso nell’unirsi al leader cavaliere Sir Godrick di Longshaw e prendere parte all’invasione del regno nemico, per abbattersi con la sua magica spada Broadcleaver contro il tiranno e, soprattutto, contro una casta di mercanti plutocratica e parassitaria prima del trionfale ed emozionante ritorno al magico, lievemente cupo e fortemente bucolico Reame di Wethermel. L’intervento sarà ovviamente salvifico anche e soprattutto per l’amata Efhild ma il romanzo sorregge sul protagonista dei contenuti che superano la preponderanza dell’individualità eroica e gettano le basi anche della High Fantasy di stampo tolkeniano e più in generale degli Worldbuilders che, oltre al corpus narrativo, amano concedere al lettore anche capillari dietrologie, dinastie o peculiarità ambientative attraverso il respiro più voluminoso della “Lore”.

In House of the Wolflings è possibile intercettare più livelli di profondità. Ognuno di essi è stato in grado di nutrire l’istanza antimodernista che ha caratterizzato la Fantasy nel suo scaturire iniziale: sorta con William Morris, proseguita da Lord Dunsany ed Eddison e infine continuata con J.R.R. Tolkien, in una certa tendenza d’antitesi al modernismo britannico di Thomas S. Elliot, Ford Madox Ford, Virginia Woolf, David Jones o altri sorti poi anche negli Stati Unti. I livelli più reperibili nell’immediato sono indubbiamente rappresentati dall’impulso descrittivo ricercato e imperlato da aulici arcaismi che consistono nei germanismi di vario genere, negli schemi allitterativi omerici o nella stessa struttura metrica del prosimetro. La funzionalità che i segmenti di prosa hanno rispetto a quelli poetici compone una attitudine epica talvolta non apprezzata nella critica del suo tempo, ma innegabilmente sublime, permeata da un’anacronistica poesia anticonformista che riconduce già di per sè stessa ad un’antichità fantastica estranea al mondo reale e più adatta ad un Secondary World di cui il romanzo è tuttavia sprovvisto, essendo ambientato nelle foreste germaniche. Tuttavia gli apprezzamenti sono stati superiori alle critiche, e tra questi è emerso un elogio redatto in una recensione sulla Gazzetta di Pall Mall, firmata da un soggetto che sicuramente, avrete sentito nominare:

“L’ultimo libro di Morris è un’opera d’arte dall’inizio alla fine, e la stessa lontananza del suo stile dal linguaggio comune e dagli interessi ordinari dei nostri giorni conferisce all’intera opera una strana bellezza e un fascino sconosciuto. La scrittura consiste in una prosa antica e versi combinati, similmente alla fiaba medievale. Quando il risultato è così bello il mezzo è giustificato…un’eccellenza!”(Oscar Wilde)

Più in profondità, oltre all’estetica del linguaggio narrativo e la struttura in forma di prosimetro, alle viscere selvatiche di House of the Wolflings ribollenti di un patriottismo “folk”, il quale è restituito dalla logica dell’eroismo secondo fattori inversi a quelli più canonici in un romanzo storico o cavalleresco, ove l’eroe civilizzato si oppone all’infedele barbaro come baluardo d’ultima ed estrema protezione. Al contrario, il Morris  attribuisce nobiltà alla barbaria dei Goti. Non certo i Goti di Teodorico il Grande, naturalmente, cristiani ed educati alla politica, bensì quelli di Thiodolf degli Wolflings, pagani e ammantati d’un tocco leggendario. Sono i guerrieri di Thiodolf a rappresentanza del nobile eroismo e del valore  finalizzato alla protezione degli ordinatori etici; famiglia, tradizioni e identità contrapposti invece all’inarrestabile potenza sproporzionata della macchina da guerra tellurica dei Romani, dove non vi è distinzione del singolo nell’eroismo, nel coraggio e nel valore, ma solo un’individualismo deformante per l’identità dell’uomo, ottemperante a logiche collettivizzate e assoggettate alla potenza spietata del numero, dell’interesse politico e delle tattiche dell’ars bellica nella natura di una superpotenza. Non è diverso l’intendere dei Romani in House of the Wolflings da quello che Morris stesso attribuiva ai mali dell’industria e del capitalismo che si contrapponeva all’arte genuina dell’artista e dell’artigiano. Fu infatti lo stesso Morris ad intessere sulla consistenza della Arts and Crafts tutto il ricamo della Lega Socialista, ovvero d’un socialismo britannico e patriottico esalato da un respiro diverso da quello marxista già nelle fasi iniziali, permeato da una tensione conservativa contro l’inarrestabile “Reset” della rivoluzione industriale, in un’ Inghilterra dominata da una elite incancrenita e decadente che si spendeva a fondo nei laboratori del potere nel costiture, ad esempio, l’ X Club, ad opera di Thomas Huxley (nonno del più noto Aldous); nonchè la società della Terra Piatta di William Carpenter, in un frangente contemporaneo della seconda metà dell’800, quando, il Partito Liberale, già da un ventennio aveva ereditato l’impulso internazionalista degli Whig ibridato all’inclinazione autoritaria del frammento dei Tories con cui si aggregarono. Sempre nello stesso periodo l’informazione scientifica³ veniva progressivamente ammaestrata a balia che imboccava il darwinismo più come scelta socio-politica che come orientamento scientifico, accarezzando lo strapotere industriale come motore della logica competitiva e la secolarizzazione dell’impronta cristiana più spirituale. Contro quest’ondata di modernismo industriale e capitalistico che ricorreva all’ariete del darwinismo non rimasero che poche forze, come la Art and Crafts e il socialismo di stampo patriottico, a cui senza dubbio partecipava anche il movimento Prerafaellita.

Se queste componenti sono state cuore e viscere di House of Wolflings è sempre attraverso questa visione edificante della “barbaria” su Thiodolf e i suoi guerrieri che si accede invece alle porte “della mente e dell’anima del lupo”. L’attributo onorevole che i guerrieri del Clan degli Wolflings incarnano nella narrazione portano – come accennato – alla logica ribaltata del romanzo eroico di guerra e di frontiera. Lo strenue e atavico sforzo di coraggio è risorsa esclusiva dei nordici guerrieri Wolflings che combattono a protezione della propria famiglia e identità, opponente diretta invece di un individualismo che serve la causa spersonalizzante della conquista come mezzo del potere politico. Un qualcosa che troviamo sotto certi aspetti anche in Robert Ervin Howard, in frangenti come Oltre il Fiume Nero, Vermi della Terra o Gli Dei di Bal Sagoth.

Robert Erwin Howard, in Beyond the Black River ha espresso la stessa logica rovesciata di House of the Wolflings nel narrare un Conan maturo, contraddistinto da una saggezza barbarica e forestale di avventuriero, unitamente a quella di esperto guerriero che talvolta si contrappone in termini etici alla logica più civilizzata e cavalleresca di Balthus, il giovane aquiloniano che con lui divide i rischi nella missione contro i Pitti. In questa contrapposizione etica tra due personaggi che agiscono per il bene scaturisce il concetto di Allineamento che Michael Moorcock avrà il merito di costituire in Elric di Melnibonè e che l’ambito di Dungeon and Dragons renderà un qualcosa di monolitico nel modo di intendere la caratterizzazione di un personaggio all’interno di una ambientazione fantasy. L’ordinatore etico in relazione all’allineamento è un qualcosa che dai romanzi degli Wolfings ritroveremo in alcune narrazioni di Howard e Moorcock, senza passare probabilmente in via diretta per la Terra di Mezzo, dove la demarcazione tra bene e male ha invece un tratto manicheo e scisso a due rispettivi elementi di polarità: la tradizione elfica; mantenuta anche dai gondoriani nel rimando agli Elfi Sindar e agli alberi magici di Valinor e Nimloth dell’Albero Bianco ; e il “sauron-centrismo”, teocratico , conquistatore e “imperialista”, pertanto sia sovrano che religioso a Barad-Dur. Chiariti questi aspetti presumiamo sia secondario fare menzione del fatto che i guerrieri del casato degli Wolflings siano talvolta adombrati dagli alberi di Bosco Atro, gli stessi alberi che Tolkien trasportò nel Reame Boscoso dell’Eryn Galen abitato dagli Elfi Silvani di Re Thranduil. Un piccolo dettaglio che è spesso riportato quando si parla di William Morris.

“Le paludi morte e gli ingressi al Morannon devono qualcosa al nord della Francia dopo la battaglia della Somme. Ma Devono ancor di più a William Morris e ai suoi Unni e Romani, come in The House of the Wolfings o The Roots of the Mountains.”  (J. R. R. Tolkien)

Nel riportare il particolare di Bosco Atro è naturale estendere le ben più radicate sinergie che gli scenari della Terra di Mezzo rispecchiano dal riflesso di House of the Wolflings ma anche nel romanzo Roots of the Mountains. Se nel primo, gli Wolflings, quali “Uomini del Mark” potrebbero ricondurre ai Rohirrim di Eomer (più che di Theoden) e al tempo stesso ai Cherusci di Irmin ⁴,  su Roots of the Mountain, nel loro stato ritirato di uomini di stirpe “speciale” schierati a ultimo fronte contro gli Unni, si imparentano maggiormente con la Grigia Compagnia dei Dunedain, vincolata alla protezione della Contea degli Hobbit similmente a come gli Wolflings proteggono Burgdale in Roots of the Mountain.

Anche nella Guerra dell’Anello i “regni liberi” di Rohan e Gondor sono inferiori alla devastante potenza bellica di terra riunita da Sauron e alleati, intenti ad annientare mediante una macchina da guerra “industriale” gli ultimi baluardi difensori della Terra di Mezzo. Nel Signore degli Anelli non troviamo la logica ribaltata del romanzo di frontiera che riscontriamo in House of the Wolflings e in Oltre il fiume nero. Tuttavia, si riconosce un tratto comune nei suoi attributi psicologici e sociali. Lo strapotere militare di Sauron, come la potenza romana che insidiava gli Wolflings, si fonda esclusivamente sul numero e non sulla qualità identitaria. Similmente, la Rivoluzione Industriale in Inghilterra è contrapposta ad una logica di “Gilda di Arti e Mestieri” abbracciata  dalla Art and Crafts che rifiutava la produzione in serie..

Questo riflesso è visibile anche nell’idea di fondo in Tolkien che è quella d’una valutazione essenzialmente benevola verso il semplice popolo, idea che converge sul simbolismo degli Hobbit, sebbene questi, molto spesso, non manchino di raffigurare anche tutta una serie di logiche della filistea borghesia, ma senza che vi sia mai un biasimo eccessivo. La “Fell-Folk” rimane in fin dei conti il vero tesoro di identità e tradizione in entrambi gli scrittori, contrapposto invece all’estabilishment elitario, svuotato di ogni identità, secolarmente anaffettivo ed eroso d’ogni valore, sempre pronto al sacrificio del singolo per la “causa superiore” nonchè soggetto a bulimici appetiti di sfruttamento, cambiamento e conquista. Nessuno può corrispondere a questi nefasti anti-valori elitaristi come i Nazgul, ovvero l’elìte dei nove Re numenoreani, in seguito Cavalieri Neri , destinatari dei nove anelli magici prima, senonchè assoggettati al potere dell’unico anello – “per domarli tutti” – poi. I nove re numenoreani sono privati d’ogni identità tradizionale e sovranità a causa del vincolo stretto all’anello magico di Sauron. La richezza dei loro anelli magici è meno che un fronzolo ingannevole ed è soltanto un debito irrinunciabile con il signore che li comanda, e che possiede anch’esso un anello che tuttavia è per domarli tutti. I Nazgul, come i loro regni, si riducono allo stato di non-vita nonchè a potenza agglomerata di regni uniti e ormai esistinti, esclusivamente emissaria a comando di Sauron, vale dire colui che possiede la vera ricchezza verso la quale le altre – quelle dei nazgul – sono vincolate.

Gli umili porteranno a termine con responsabilità il più arduo dei compiti, la distruzione dell’Anello del Potere. Gli Elfi, pur nella loro alta saggezza rifiutano l’incombenza e assumono il loro lato melanconico e crepuscolare racchiuso in micro-signorie di stampo rinascimentale. Luoghi di grande saggezza ma anche di profonda autoreferenzialità. In Gondor e nella Casa dei Sovrintendenti, ben lontana per saggezza e prestigio dalle antiche stirpi adunaiche di Isildur, il sentore è di gran lunga aggravato verso la decadenza. Non diverso è Rohan, potenza svuotata e guidata da una famiglia regnante a Meduseld quasi irreversibilmente divisa e gravemente infiltrata dal maleficio e lo spionaggio di Saruman. Tolkien è stato ammirevolmente abile nella rapppresentazione di Gondor, Rohan e degli Elfi, nel rappresentare dei lati negativi ma senza far prevalere un biasimo che non avrebbe restituito una percezione corretta ai lettori della loro effettiva entità. Il tutto è stato funzionale ad un innalzamento del popolo semplice degli Hobbit e su un soggetto dopo l’anonimato e l’esilio, si prende carico del suo destino alla sovranità, Aragorn figlio di Arathorn.

Si potrebbero considerare i romanzi Fantasy “Propriamente detti” di William Morris;  ma anche il proto-fantasy House of the Wolflings, come una destinazione finale di quei processi di rivistazione epica e romantico-gotica che ha lambito il mondo germanico/norreno, anglosassone e ellenico: La Vita e La Morte di Giasone, La Difesa di Ginevra, La Caduta dei Nibelunghi, Odissea; ma anche i due importanti poemi originali Haystack in the Floods e Paradiso Terrestre. E’ impossibile non notare come Tolkien abbia ripreso questo percorso di concezione neo-epica iniziato da Morris con rielaborazioni come la Caduta di Re Artù dall’opera di Thomas Malory;  la Leggenda di Sigurd e Gudrùn; Beowulf; Gawain e il Cavaliere Verde fino ai mitici finnici del Kalevala. Anche Robert Erwin Howard, alla sua maniera costitui il Ciclo Celtico di Bran Mak Morn iniziato prima di The Shadow Kingdom (1929) e Phoenix on the sword (1932)⁵. Nel sopracitato Oltre il Fiume Nero, Conan il Barbaro descrive l’inevitabile invasione della feroce tribù pitta a danno del Forte Tuscelano come fosse una vendetta della natura stessa contro la civiltà che mai “vincerà contro la barbaria”. Una maniera, potremmo dire, anche se con lievi differenze, di ridisegnare la logica ribaltata del romanzo di frontiera che permea la filosofia di House of the Wolflings.

E’ ipotizzando questo insieme che assume un senso inquadrare questa linea di continuità, nata con Morris; proseguita con Lord Dunsany; continuata ancora con Eddison; culminata con Tolkien e Lewis; ma intercorsa anche attraverso soggetti meno noti come Hope Mirlees, e infine, perfino riformata e deromanticizzata da Howard; come la risposta “letterariamente antitetica” al modernismo di Virginia Woolf, Thomas S. Elliot o David Jones e le opere come Orlando, o quelle dei poemi modernisti come Terra Desolata o In Parenthesis, nonostante gli autori siano notevolmente differenti tra loro. In Lord Dunsany è fortemente accesa una scintilla pagana e imponderabile unita ad un antimodernismo quasi di stampo dandy-decadentista. Del tutto diverso dall’antimodernismo cristiano di Morris e Tolkien, e anche da quel genere di antimodernismo individuale e anticonformista di Howard. Si può tuttavia riconoscere  che  Robert Erwin Howard, similmente a Morris per la rivoluzione industriale si è trovato immerso in sentimenti antimoderni in un’epoca che tra le molte cose è consistita anche di una spinta decisiva degli Stati Uniti verso muscolari politiche petrolifere che non mancarono di mostrarsi certamente nella città di Cross Plans, in Texas, dove Howard non manca di sottolineare una desolante industrializzazione. Nonostante tutte le differenze è innegabile che questi autori, pertanto anche la stessa Letteratura Fantasy , sia nata da un febbrile grembo antimodernista nel quale includiamo anche James Branch Cabell e la raffigurazione caoticamente neo-pagana del destino supportata da toni raffinatamente antiborghesi che influenzarono di certo Fritz Leiber.

I toni con cui Morris esprime le sue idee e le sue letture sociali hanno delle variazioni rispetto ai due romanzi della “dilogia” degli Wolfings. Ne Un sogno di John Ball, vi sono dialoghi notevolmente futurologici e attuali, mentre in Notizie da nessun luogo un sonno improvviso e profondo durante una riunione di socialisti ad Hammersmith , porta il protagonista ad un risveglio magico in un mondo utopico di arti e mestieri, privo di proprietà privata, di attività concorrenti, di sistema economico-bancario e di autorità di polizia. Una civiltà di boschi e natura imperante, che ritrae un tono idilliaco non troppo dissimile dalla contea degli Hobbit, dove il pesante alito capitalista e i venti della rivoluzione industriale estinguono il loro soffio a favore d’un unico respiro bucolico dove certamente appare un suggerimento apparentemente marxista, ma è proprio attraverso una utopia estetizzante che in realtà Morris esprime la sua critica. Anche in questo caso Il romanzo nutre più livelli filosofici di profondità proprio come in House of the Wolflings. In un livello troviamo espresso il dipinto surreale  di un mondo dove il comunismo non mostra le sue lacune pratiche e fiorisce quindi nella sua parte utopica. Tuttavia, vi è in un livello sottostante che esercita una critica che è rintracciabile proprio nell’estetizzazione utopistica che affiora solo come affresco onirico, dopo il fallimento della Socialist League britannica, sfaldato dalla divisione tra anarco-socialisti e i socialisti patriottici antimoderni della Art and Crafts. Morris chiarisce il nocciolo della sua idea d’un pensiero proto-socialista, antimoderno e identitario, di una società dove l’uomo,  quale individuo pensante,  cumula la sua sapienza e saggezza sulle arti e i mestieri. Il romanzo si oppone infatti già dalle basi di partenza come antitesi dell’Utopia Socialista di proto-fantascienza Guardando Indietro 2000 – 1887 di Edward Bellamy il quale fu apprezzato infatti molto dai Marxisti.

“Le mani dell’essere umano, nel lavoro, nell’artigianato e nelle arti, sono guidate dalla memoria, ma anche dai pensieri di tutti gli uomini delle generazioni passate, egli crea in quanto parte del genere umano. Se lavoreremo così i nostri giorni saranno felici. Ogni altra concezione è da schiavi: nient’altro che faticare per vivere e vivere per faticare” [2] (William Morris)

Nell’ottica di Notizie da nessun luogo si trova quindi una prospettiva tesa a raffigurare l’utopia d’una società bucolica, antimoderna e “evoluta a ritroso” e nei successivi Heroic Fantasy; vale a dire Il Bosco Oltre il Mondo (1894) e La Fonte ai Confini del Mondo (1896) prende vita una concezione avventurosa e fantastica che trova una sintesi tra i romanzi cavallereschi del ciclo bretone; il romanzo storico di Walter Scott e quello storico-avventuroso di Dumas. La mediazione di tali fattori si è animata in un apogeo che non ha solo generato la letteratura Fantasy, ma ha anche costituito un concetto edulcorativo del medioevo che ha certamente dipinto il quadro percepito dall’immaginario collettivo e che, visto sotto quest’ottica, si rivela essere cosa ben diversa da un semplice vagheggiare romantico del medievalismo di “revival” vittoriano. Tutto questo non è soltanto il frutto di una estetizzante idealizzazione del medioevo di contraltare alla demonizzazione illuministica, ma è una proposta verso l’immaginario collettivo consistita in quel concetto di “invenzione del medioevo” che si ricongiunge certamente anche ai pre-raffaeliti, così come a Lord Alfred Tennyson.

Potremmo identificare come semplice ironia del fato il fatto che Morris morì nel 1896 proprio ad Hammersmith, luogo in cui si era addormentato il protagonista di Notizie da nessun Luogo prima di risvegliarsi nell’utopia del romanzo. Ma furono molte le avversità, le ironie e i drammi nella vita del barbuto narratore britannico. Ebbe un complesso rapporto con la pur molto amata moglie che tradì e da cui fu tradito. Non gli mancarono nemici sia in campo letterario che politico, perfino nella fazione a lui amica, quella del socialismo, come J. B. Glaisier che fu spesso duro critico delle sue opere o addirittura Friederich Engels, che non amava particolarmente il suo naturale anticonformismo:

“Morris, Bax e Aveling sono gli uomini meno adatti di tutta l’Inghilterra ad una organizzazione politica. Morris ha un pensiero confuso e disordinato….”.(Friederich Engels) [3]

Nelle parole lapidarie di Engels si riscontra una verità agrodolce. Non si può infatti non ritenere – sotto certi aspetti – plausibile la bocciatura del socialismo scientifico e del marxismo riguardo a Morris come leader ideologico. Egli era con piena evidenza un’intellettuale dal pensiero antimodernista, in grado di prevedere la degenerazione mercantilista dell’arte, la decadenza degli intellettuali verso un ruolo di cortigiani e meretrici e il lato peggiore e più assistenzialista del Welfare State. Fu dotato di un genuino e radicato anticonformismo che difficilmente – nel bene o nel male  – un solido comunista potrà comprendere essendo quest’ultimo prosciugato dagli insaziabili appetiti della sua famelica ideologia, poco incline ad un pensiero identitario come quello di Morris e bisognosa di estreme e aspre polarità per alimentarsi. Per i marxisti Morris era un intellettuale ammirevole ma ambiguo, più alla ricerca di una sorta di “proto-socialismo anacronistico” che di una adesione al marxismo in inghilterra, ed infatti ben presto si distaccò del tutto dalla Federazione Social Democratica di Hyndman.

Non mancarono le occasioni in cui fu contestata a William Morris anche la sincerità del suo attaccamento al popolo e alla gente semplice. Dal momento che era benestante – dicevano taluni detrattori – poteva interamente disfarsi dei suoi averi e donarli ai poveri⁶. In uno di quei casi, rispose così:

“Non sono molto ricco, ma anche se lo fossi e dessi via tutto: quale bene avrei fatto? Alcuni poveri sarebbero meno poveri per poco, tornando poveri. Il denaro che avrei donato finirebbe in mano ai ricchi, Londra si compiacerebbe di me per poco dimenticandomi in fretta. Ma se perfino Rothschild donasse tutti i suoi milioni ci troveremmo in breve tempo con i soliti problemi” 

Furono probabilmente alcune tra queste incrinature nella vita sociale, politica e coniugale a comportare in un tratto della vita del Morris, una fase di ritiro e di escapismo, studiò le saghe islandesi a fondo sino a padroneggiarle in maniera profonda e sino alla parte finale della sua vita dove scrisse il resto suoi romanzi Fantasy. Bisogna altresì riconoscere che talvolta, ai successi di questo sottovalutato scrittore, brillante artista e sensibile intellettuale hanno trovato corrispondenza degli amari paradossi. Basti pensare al successo di Earthly Paradise che penetrò anzitutto nella filistea borghesia verso la quale lui spesso concentrava il proprio dissenso. Per tutta ironia, la sorte volle che i suoi accurati motivi da parati furono alla base del design industriale. 

Anche il successo di diffusione della Lega Socialista nasconde certamente un paradossale fallimento. La sua gittata come agitatore culturale ha contribuito alla formazione di due aree, entrambe lontane dai propositi di Morris: quella d’ un movimento più conforme ad un eccentrico anarchismo e quella che è consistita nella formazione di aree frammentate, che sarebbero certamente state in grado di esercitare potere più decisivo se riunite: I Sindacati di Tom Mann, il Clarion di Robert Blatchford ( che fu in seguito oppositore dell’Eugenetica) e il Partito Laburista indipendente dello Yokshire composto anche da Fred Jowett, che lavorò con Morris alla Socialist League nel 1887, ma che lui non appoggiò.

William Morris tuttavia seppe riconoscere tali criticità, spezzandole “rifiutando il successo come si rifiuta una calunnia” e elevando il suo pensiero, combattendo una rivoluzione futurologica ed estesa, spesso incompresa nel cercare di guidare per mezzo della dissidenza intellettuale una transizione violenta come quella capitalistica e industriale. Ciò che il più cinico istinto suggerisce, quand’anche si voglia trarre insegnamento da tutta l’ampiezza di un personaggio come William Morris è che il suo attaccamento al socialismo non era che una vana e sublime illusione antimodernista, medievalistica e utopica, consistita nel sognare un mondo che avanza a ritroso verso un’utopia fiabesca, ma c’è chi si opporrebbe ad un ritratto così disilluso, la stessa persona che lo farebbe, Edward Palmer Thompson, ha certo studiato William Morris abbastanza profondamente da far si ritenga opportuno lasciare a lui le ultime parole di questa panoramica.

“…è stato uno dei più grandi inglesi non per la qualità come poeta e scrittore, la maestria nelle arti decorative o perchè fu pioniere del socialismo. Bensì per una qualità che conferisce ad ognuna di queste cose una certa unità.

Morris è stato uno dei più grandi inglesi perchè fu un grande rivoluzionario dotato di profonda cultura e umanità. La considerazione per lui crescerà con il passare del tempo” [4] (E. P. Thompson)

 

 

Fonti e Note

[1] Conan!Introduzione a cura di Lyon Sprague De Camp, di Robert E. Howard, Editrice Nord, Fantacollana Nord, 1976

[2] Lavoro Utile, Fatica Inutile – Bisogni e Piaceri oltre il capitalismo di William Morris, Donzelli Editore, 2009

[3] William Morris: Opere di Mario Manieri Elia, Edizioni Laterza, 1985

[4] William Morris: Romantic to Revolutionary di Edward P. Thompson, Lawrence & Wishart, 1955) / Arte e Socialismo –  (Willam Morris, Mimesis, 2015

1 – The Sundering Flood fu completato da May Morris, figlia di William

2- Nel 1877 Morris fondò la SPAB, (Society for Protection of Ancient Buildings) ispirata ai principi di John Ruskin

3- Fu fondata la rivista “Nature” nel 1869 ad opera di Alexander Mac Millan, Norman Lockyer e Thomas H. Huxley chiamato il “Bulldog di Darwin”. Intorno a quegli anni molti altri Think tank nacquero per la propaganda di stampo scientifico

4 – Tribù Germanica che annientò l’esercito di Publio Quintinio Varo nelle foreste di Teutoburgo

5 – Secondo la cronologia divulgata da Lin Carter, The Shadow Kingdom, novella appartenente al ciclo di Kull di Valusia è uscito nel 1929, mentre Phoenix on the Sword, uscito nel 1932 appartiene al ciclo di Conan il Barbaro, ma è stato composta sopra ad una novella di Kull “Quest’Ascia è il mio scettro!” (By the Axe i Rule!)

6: Grazie alla buona riuscita della ditta di decorazione e della rendita di 9000 sterline annue ereditata dal padre, Morris, da un certo punto in poi divenne benestante

Pubblicato da Pat Antonini

Ha studiato letterature e lingue straniere moderne. Collabora stabilmente con Hyperborea, Centro Studi Eurasia-Mediterraneo, Dragonsword e Punto di Fuga.