Le Amiche degli Elfi (Lord Dunsany)

Non solo i racconti di cavalieri, barbari, prodi guerrieri e valorosi eroi hanno il loro fascino, ma anche le fiabe sui piccoli elfi (non del tutto simili a quelli di Tolkien) possono attrarre molto, soprattutto se vengono proposte in una collana come gli Urania Fantasy ma ancor di più, se scritte in una maniera così brillante come quella di Lord Dunsany. Ammetto che forse l’unico motivo per cui ho letto per prima la fiaba di Lord Dunsany nel volume Il Regno Incantato (curato da Isaac Asimov, aiutato da H. Greenberg e C.G. Waugh) è perché è risaputo ormai da anni che il suo autore era molto apprezzato da J.R.R. Tolkien e Howard P. Lovecraft, ma non è importante, perchè anche se si tratta di una semplice fiaba è stata una lettura da considerare e di che di certo non sarà dimenticata.

La trama è molto semplice e narra di una creatura, “una entità del folto bosco” chiamata dallo scrittorie irlandese “la cosa del folto”, che non è troppo diversa nell’aspetto da una fata o da un elfo, ma desiderosa di avere un’anima poiché non ne possedeva una. Le fate, essendo a conoscenza del suo dolore decidono di donargliene una. Lord Dunsany da un piccolo assaggio del suo modo di vedere il mondo fatato, usandolo come metafora rivolta alla coscienza, alla società e alla felicità nella propria vita, scegliendo di rappresentare ciò nel raffigurare cosa può comportare per una “entità del folto” uscire dal mondo selvaggio e fatato per accedere a quello umano, dove le “fabbriche demoniache” costringono le persone a lavorare di continuo sotto i rumori infernali dei macchinari, per guadagnare ben poche cose che possano nutrire quell’anima che lei desiderava così tanto. Da un lato il tutto viene rappresentato in maniera folk e primitiva, ma dall’altro ci si trova anche immersi in una storia surrealista e simbolica. Entrambe le dimensioni tuttavia sono piene di poesia e malinconia. Oserei dire che alcuni passaggi sono in grado di far venire i brividi, in maniera diversa, ma non meno intensa da un racconto avventuroso o eroico che noi siamo maggiormente abituati a masticare. 

[…] Di giorno se ne stanno nascoste nelle pozze degli acquitrini solitari, ma di notte escono per danzare […] Tutta la notte danzano per la palude, calpestando il riflesso delle stelle (perchè da sola la superficie dell’acqua non basterebbe a sostenerle); ma quando gli astri cominciano ad impallidire spariscono una ad una nelle pozze che sono la loro casa. Quando indugiano sedute sui giunchi i loro corpi svaniscono a mano a mano che il chiarore dell’alba fa impallidire i fuochi…

Ciò che Lord Dunsany descrive è un qualcosa di molto simile alle creature chiamate Nixies, ovvero un particolare tipo di fate degli acquitrini, degli stagni del bosco e delle paludi, presente sia nelle storie fantasy che in quelle mitologiche, in grado di assumere forme diverse. Il “Non avere un anima” ha un significato diverso in questa fiaba, e si può di certo tentare di interpretarlo, cosa che non faremo oggi. La storia si legge in pochissimo tempo, anche grazie ad una scrittura curata e svolta con maestria. Lord Dunsany dimostra con una narrazione brevissima una grande superiorità, e di essere un narratore particolare, insolito e sorprendente. Non so quando, ma credo che sarà il caso di ritornare più approfonditamente a parlare di questo incredibile fuoriclasse.

Note

(Nessuna)

 

Pubblicato da Pat Antonini

Ha studiato letterature e lingue straniere moderne. Collabora stabilmente con Hyperborea, Centro Studi Eurasia-Mediterraneo, Dragonsword e Punto di Fuga.