La Famiglia del Vurdalak (A. K. Tolstoj)

 

la-famiglia-del-wurdalak-theoriaEsiste un solo Guerra e Pace, ma il cognome Tolstoj conta qualche ricorso in più in letteratura e personalmente, per non cadere all’errore istintivamente si è trattato di districarsi tra tre nomi. Andiamo subito per esclusione: Non è ovviamente il grande “Lev Aleksandrovich” e non è neanche “Aleksej Nikolaevich”: il nostro uomo è quindi Aleksej Kostantinovich Tolstoj, sconosciuto a molti, ma non a Mario Bava e neanche a Giorgio Ferroni, visto che i due registi italiani si sono ispirati proprio ad una delle sue storie gotiche per cimentarsi nelle riprese dei loro cult movie. Il titolo dell’opera è La Famiglia del Vurdalak.

Molto tempo fa il racconto fu solo appena menzionato in un breve articolo di routine, è arrivato il tempo di dire qualche parola in più a riguardo.

La figura del Wurdalak (o Vurdalak, come da copertina dell’edizione) non è molto diversa da quella del vampiro, numerose fonti infatti tendono a considerarla una semplice variante geografica se non addirittura sovrapporla a sinonimo, cosa che ovviamente ha le sue giuste ragioni. Se dovessimo preferire scinderli – e i motivi per farlo ci sarebbero – qualche piccola differenza effettivamente sembra emergere. Soprattutto in termini romantico-gotici e vittoriani il vampiro alla sua forma più nota è in linea di massima una entità decadente e antimoderna, con una sua consistenza titanica rivolta alla storia, al mutamento sociale e al tempo che scorre; uno stoicismo centralista e luciferino che culmina di fatto in un ruolo anti-messianico, uscendo pertanto da quello folcloristico che presenta naturalmente varianti e comunanze imponderabili, essendo locali e caleidoscopizzate in sfumature dispersivamente pagane. Il Wurdalak – pur nelle molte similitudini – in questo rappresenta qualcosa di diverso. Egli non accentra a sé stesso un ruolo di “pivot” (o perno se preferite) nella spirale dei piani “dell’ignoto” come è solito fare l’antitesi del messiah, ma è più una piaga caotica, diffusa e capillare, un tentacolo dal mondo antico e profondo che si può evitare di incontrare e che, se dovesse giungere a lambirci sarebbe per amara disdetta, o nostra incauta condotta, per il peccato di fidarsi troppo, erroneamente invitare o avventurarsi dove non ci compete. Un qualcosa che nel mondo dell’orrore avviene spesso, ammetterete. Tale creatura ha un comportamento ammorbante una volta a contatto con il nucleo familiare. La sua preferenza per gli “affetti” avuti nella vita prima di essere Wurdalak è un elemento che anticipa Carmilla di J.S. Le Fanu. Anche se non animalesco, il comportamento di questo non-morto è effettivamente tutto uno scorrazzare, un pattugliare e temporaneamente rientrare al covo, un invadere, un cieco penetrare inesorabile come quello dell’ acqua invasiva che perde da chissà quale ammuffito angolo, oppure di una epidemia o ancora, nell’ineludibile aggressione del Ghoul, dello Zombie o il Lupo Mannaro, che sembrano lasciare speranza di fuga, sino a che non ci si rende conto che questi spunteranno sempre da qualche parte a ghermirci, nonostante il vantaggio che ci illudevamo di aver cumulato. Egli potrebbe essere additato in maniere simili a come Romani e Goti, secondo alcuni screditavano gli Unni, ovvero tacciandoli di essere “Hongre”, e non solo nella portata alquanto imprecisa e geografica del termine “Ungarico-Ungaro-Ungherese” ma anche in quella etimologicamete imparentata e più mistificatoria di “Ogre” . Ed effettivamente gli Orchi nella Terra di Mezzo non sono indicati diversamente dai gondoriani e rohirrim per Tolkien, né gli stessi Unni in House of the Wolfings e Roots of the Mountain dai Romani e Goti per William Morris. Tali differenze sono ben rappresentate nella novella. Non c’è un castello di risaputa fama, che è sede temuta del dominio del Nosferatu – quale cavaliere anacronistico, decaduto e antimoderno – a simboleggiare un male rappresentato e quintessenziale,  o di una famiglia di origini ignote stabilmente impiantata come Gli Addams – scherzosamente – o “Dracula e le sue spose” – più seriamente – oppure, infine, come il “dandy club” che sostituisce il medioevo cupamente trascinato nell’ottocento da Dracula con un ottocento anacronistico nella modernità, cosa che maggiormente piaceva ritrarre ad Anne Rice su Lestat De Lioncourt e dai suoi innumerevoli derivati; ma troviamo un grigio e povero scenario agreste composto da natura ruvida e ingenerosa, boschi inospitali, ignoti seppur locali, con poche case di contadini in una sperduta zona della Serbia. 

A. K. Tolstoj è molto abile a dipingere uno scenario carico di tensione, composto da pochi elementi ma tutti usati piuttosto bene. Le mosse dello scrittore sono semplici ma riescono a costruire una circostanza notevolmente interessante già dal principio: nell’attesa di Gorcha e nella possibilità che possa ritornare “in ritardo”, non come umano bensì come Wurdalak; nella menzione del fuorilegge turco che si aggira nelle campagne come uno spauracchio, non lo vediamo ma lo teniamo sempre in conto e contribuisce a creare quella sensazione di “fianco sempre scoperto” e di perenne vulnerabilità. Nella seconda parte, il racconto si svolge sia nella storia d’amore del protagonista – Il Marchese e Ambasciatore d’Urfè – con l’affascinante Zdenka, sia nel successivo pathos psicologico basato sulla diffidenza e sugli atteggiamenti di sopravvivenza molto simile a ciò che avviene ne La Cosa di un Altro Mondo di John W. Campbell e non meno nel film liberamente ispirato di John Carpenter. Proprio come la misteriosa entità aliena Il Wurdalak può essere chiunque, e sa fingere fin troppo bene. Mario Bava, nella sua trasposizione all’interno di uno dei tre episodi de “I Tre volti della Paura”, ha avuto il merito di ricostruire bene l’atmosfera, non mancando di mettere in scena il momento in cui Gorcha si affaccia dall’esterno della casa alla finestrella; una dinamica semplice ma di grande effetto Horror.

Il tutto culmina nel finale dove i Wurdalak, effettivamente, raggiungono il loro momento “Ogreish”, vale a dire, invadono il villaggio mostrando la loro dilagante inarrestabilità, mostrandoci perchè quando si ha a che fare con una piaga “Ogre” sentiremo sempre il fianco scoperto e la perenne vulnerabilità. Puoi accumulare il tuo vantaggio e seminarli, ma per essere raggiunti basterà fermarsi un istante; ne puoi uccidere tanti, ma rimarranno sempre gli altrettanti. Forse è per questo che la vittoria di Teodorico e Ezio Flavio ai Campi Catalaunici giunge spesso con un suono così diverso, e forse è per questo – tornando al nostro fazzoletto – che sono così memorabili le vittorie a Rosedale e Silverdale degli Wolfings contro gli Unni e soprattutto quelle dei Nani, Rohirrim e Gondoriani alla Montagna solitaria, Dale, al Fosso di Helm o a Minas Tirith. Il Marchese ritroverà dopo la sua missione il villaggio ormai morto. La fuga del finale dai Vurdalak ormai numerosi e raggruppati quasi in “un’orda” coinvolge anche per ragioni di pura azione oltre a quelle della tensione presente sin dall’inizio. Nel finale non succede qualcosa di assurdo e non si può certo dire che sia un finale prettamente Horror, il tutto avviene in modo piuttosto lineare, ma il tutto è ben speso e narrato ed effettivamente riesce a trasmettere la sensazione di “fianco scoperto” sino all’ultimo.  Occorre menzionare anche il fatto che è meritevole come la storia d’amore nella parte centrale riesca a dare più carne ad un racconto che forse sarebbe stato troppo scheletrico. Ne La Famglia del Vurdalak indubbiamente si ammira uno stile più slavo rispetto a Il Vampiro dove a mio avviso A.K. Tolstoj si serve di alcune soluzioni imparentate con i romanzi di costume britannici di scrittrici come Mary Ann Evans, Jane Austen o Elisabeth Gaskell, quantomeno nel modo di “affrescare” le circostanze. ll nome dello scrittore non sarà quello di “Leone Nikolayevich”, ma anche l’omonimo sbagliato può festeggiare un onomastico giusto, se chi lo porta è in grado di scrivere un ottima storia breve, in pieno stile horror-gotico ottocentesco.

Note

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Pubblicato da Pat Antonini

Ha studiato letterature e lingue straniere moderne. Collabora stabilmente con Hyperborea, Centro Studi Eurasia-Mediterraneo, Dragonsword e Punto di Fuga.