
Fuoco, acqua, vento, terra. Questi quattro elementi, mescolati insieme, danno origine alla letteratura fantasy. La quale, a sua volta, prende spunto dalla mitologia e dal folklore.
Che essa sia la tradizione mediterranea, o la tradizione norrena e bretone, la letteratura fantasy nacque da un drago seduto su un immenso tesoro della stirpe dei nani. Fuoco, e terra.
La Montagna Solitaria, l’atavico richiamo a scalare le altezze, che più avanti, in Tolkien, diventerà un vero e proprio vulcano, simbolo del fuoco, che non è vita, ma tutto distrugge, il potere di Sauron e dell’Unico Anello, intimamente legati alla terra anch’essi, tutti questi sono simbologie archetipiche dell’immaginazione umana. E’ solo immaginazione? E’ solo fantasia e superstizione tutto quello che rappresenta le nostre radici folkloristiche o sono, insieme alla ragione apolinnea di derivazione greca, tutto ciò che ci rappresenta e che ci conferisce dignità in quanto esseri umani?
“Nati non foste per viver come bruti, ma per seguire virtute e conoscenza” Dante ci ricorda, ammonendoci delle pericolosità di una vita totalmente dedita alla materia e alla soddisfazione dei propri bisogni primari. Dante ci sta ammonendo sulla condizione del prigioniero della caverna di platonica memoria, voltato di spalle rispetto al fuoco, la verità, legato, con lo sguardo rivolto verso ombre fittizie.
Dietro alla sapienza che si cela nel “folk” e nel “fantasy” c’è un livello di conoscenza, di apprendimento, che segue una componente razionale, ma spinge la razionalità nei reami dell’irrazionalità più pura, nei regni dove tutto è possibile, in una Terra di Mezzo dove perfino la più comune e umile delle creature, un Hobbit della Contea, può risolvere la dicotomia tra bene e male, distruggendo l’origine del male stesso.
Il fantasy nasce ufficialmente nel Novecento. Un secolo ricordato tristemente. Un secolo di libertà soppresse e di massacri, un secolo di giovani mandati a morire. Tra questi giovani c’era appunto Tolkien, che tra gli orrori che l’uomo può provocare, tra la sofferenza e il peggio che il mondo può offrire alla vista di un essere umano, vide nella tradizione sassone, celtica e norrena una sorta di via alternativa da seguire, una sorta di salvezza. D’altronde è proprio una popolazione dedita al rispetto delle tradizioni, fino ad un livello quasi parodico della società rurale inglese e della vita rurale tutta, fatta di cose piccole e semplici, quella degli Hobbit. Anche se Frodo ha qualcosa di elfico, qualcosa che lo porta ad un livello superiore di conoscenza, appunto, la curiosità per i sentieri, gli alberi, la vita, le stelle.
Il fantasy ha qualcosa di elfico, di legato a un’atmosfera druidica, magica, connessa ai bardi e alle antiche sapienze legate alla terra.
“Lungi dall’uscio dal quale parte / Devo seguirla contro ogni sorte / La via prosegue, non ha porte / Lungi dall’uscio dal quale parte / Ora la via si estende ancor oltre / Devo seguirla contro ogni sorte…”
Nell’adattamento cinematografico di Peter Jackson è canticchiando questa canzone che Gandalf il Grigio entra nella Contea, fumando dalla sua pipa, riprendendo dei versi attribuiti a Bilbo Baggins nel romanzo.
Anche Bilbo ha qualcosa di elfico, ha qualcosa che è insito nel fantasy, un particolare occhio nei riguardi della realtà.
Un autore di letteratura fantastica in un bosco non vede solo gli alberi, le foglie cadute ingiallite dall’Autunno. Vede una “quest”, un’avventura. Una ricerca, la scoperta di un tesoro, il brivido di buttarsi verso l’ignoto, verso il nuovo, verso terre di cui si è solo sentito nominare, verso lande immense dove l’occhio, e la mente, possano perdersi, in un sereno, ma ancor più sapiente, sguardo più ampio, con più respiro, con più consapevolezza, con la conoscenza di tutto ciò che c’è al di fuori della Contea e delle nostre mura domestiche.
Là fuori c’è il male, quello ancestrale, antico, nero, c’è ancora l’istinto degli uomini a desiderare l’Unico Anello del Potere.
L’Ombra della teoria psicologica di Jung sull’inconscio è anche lei, come Tolkien, figlia del Novecento. Così come anche noi contemporanei siamo, in qualche modo, ancora un’eco del secolo scorso, e spingendosi ancora oltre, culturalmente, di ciò che sono stati prima l’Illuminismo, poi il Romanticismo, e poi ancora il Positivismo.
L’Ombra è rappresentata benissimo nella figura di Gollum, dove appunto il suo naturale alter ego, che tutti possediamo, a causa della brama per l’Unico Anello, Gollum appunto, prende il possesso sulla personalità di Smèagol, facendogli dimenticare la bellezza delle cose legate alla vita e al cielo e alla terra.
Tolkien descrive benissimo il cambiamento psicologico di Smèagol scrivendo che egli aveva perso lentamente, ma inevitabilmente, l’interesse per tutto ciò che era vitale, che era legato agli alberi, alle fronde e allo splendore delle stelle del cielo notturno, per dedicarsi alla curiosità morbosa nei confronti delle radici e della terra putrida dove vivono i vermi, richiudendosi sempre più spesso in grotte nel cuore delle montagne, finendo appunto, nel suo vagabondare, tra le grotte delle Montagne Nebbiose. La caverna è un simbolo usatissimo. Da Platone a Jung. Quest’ultimo ne fa rappresentazione psichica di un rifugio, ma anche dell’inconscio stesso, dove è facile perdersi nell’oscurità della tenebra di ciò che non è ancora stato illuminato propriamente dalla ragione, la luce di Elendil, la stella più amata dagli elfi di Tolkien, dal dio Apollo, simbolo della ragione per gli antichi Greci.
Il fantasy è un anelito verso l’infinito.
Nei boschi vivono creature mistiche, e figure legate alla magia, bianca o nera che essa sia. Lo sguardo di chi scrive fantasy è come se “amplificasse” la realtà, la estendesse, vedendo l’immortale dove c’è il mortale.
Percependo qualcosa di più. Quando all’età di dodici anni presi in mano “La Compagnia dell’Anello” e iniziai a leggerla nel parco del castello di Novi Ligure, sotto gli alberi che prennaunciavano verso la fine di Agosto già quasi l’arrivo dell’Autunno, cosa mi trasmise?
Ricordo di aver alzato gli occhi verso il cielo, e di averne gustato l’azzurro come poche volte prima, il colore della luce del Sole che declinava verso il tramonto, la brezza che soffiava appena sul far della sera. Ricordo di averne percepito l’essenza, un’essenza antica, una storia che era iniziata prima di me e sarebbe continuata, dopo di me.
Questo è il folk, questo è il fantasy. La consapevolezza pura, percepita, immediata, che facciamo parte dell’immensità della storia e del cosmo, e che c’è un pezzetto, qualcosa, dentro ogni essere umano, che si rifà all’anelito verso l’infinito, come se davvero fossimo fatti della stessa sostanza dell’universo, e fossimo universo che esprime se stesso, e parla di sé, scrive di sé, si riscopre.
Come il vecchio Bilbo che scrive le memorie riguardanti la sua avventura con il drago Smaug. Quella volta in cui vide il fuoco, quello vero, non quello tranquillo e scoppiettante del focolaio. Il fuoco connesso all’antichità e allo spirito della distruzione. I draghi.
Creature mitiche, leggende. La natura umana è portata all’immaginazione e alla scoperta.
Nella letteratura fantastica vediamo eroi, nel genere “spada e stregoneria” e nei generi più legati all’esperienza della storia antica o medievale, che toccano con mano in un modo molto diretto sia il male del mondo, talvolta sono loro stessi anti eroi, come Elric di Moorcock, o Conan di Robert E. Howard, che si distacca moltissimo dall’idea di bellezza cristallina che Tolkien instilla nei suoi protagonisti, benchè sia una bellezza solo apparente, si ricordi come Boromir figlio del Sovrintendente di uno dei più grandi regni degli uomini, Gondor, cada anche lui vittima della brama per l’Unico Anello.
Il fantasy è caratterizzato moltissimo dall’eredità dal romanzo medievale e dal tema della “quest”, ovvero della ricerca del tesoro, che può essere il Santo Graal, o un negromante da uccidere per riprendere il trono di Aquilonia, come nel caso di un romanzo di Howard, “L’Ora del Drago”.
Dietro al tema della ricerca c’è la caratterizzazione estetica e storica e mitologica “estesa”, “amplificata”, come la definisco. Carl Ashton Smith si distingue da molti altri autori per la sua immaginazione infinita in questo senso, basti leggere il ciclo di Poseidonis e di Zothique, dove inventa interi continenti.
La mappa è fondamentale nei romanzi fantasy. L’invenzione di una mappa nuova, o di una vecchia riadattata per ricoprire i “buchi” di storia che abbiamo prima della cultura sumera ed egizia, l’invenzione di regni sconfinati e intrighi di palazzo, sempre tutto mescolando acqua, vento, fuoco e acqua, alchemicamente, nella scrittura.
Dal medioevo della saga di Geralt di Rivia, The Witcher, all’antichissima e selvaggia, barbara, era Hyboriana di Conan vi è sempre e costante questa volontà di potenza della vita sulla morte, dell’eternità sulla caducità.
Un mondo eterno, dove sotto le stelle vengono cantate le gesta di eroi mitici.
Dalla mitologia il fantasy prende la sua attitudine a “mitizzare” per l’appunto ogni aspetto della realtà.
Il fantasy è la versione “estesa”, in un’ipotesi di moltissimi mondi possibili, del nostro mondo. La versione autentica, in qualche modo. Avendo sia Tolkien sia Howard, Smith e gli altri di “Weird Tales” dato inizio a qualcosa che fosse un’evasione dalla realtà, i primissimi romanzi fantastici non sono distopici, sono se mai cupi, oscuri, ma non vanno mai in contraddizione con ciò che è la natura dell’uomo e del mondo stesso. Anzi, spesso, si torna indietro col tempo, con le epoche storiche, ricercando quel mondo privo di tecnocrazia, privo di spread e di banche centrali, con inganni, con tenebre e malefici, e il male sempre ben presente, ma nella sua forma che alla mente umana risulta più congeniale e allo stesso tempo antica, quella archetipica. Fuoco, vento, acqua e terra.
Con una buona dose di sensibilità estetica, ma anche folkloristica, un bosco diviene nella letteratura e nell’arte fantastica un reame incantato, popolato da elfi. Una montagna diviene il regno di popolazioni naniche, sulla scia immortale della mitologia norrena.
Un lago profondo è abitato da creature abissali e fredde. Il mare e l’oceano, e il cielo, sono governati dal sovrannaturale, dal divino, da tutto ciò che sfugge alla comprensione razionale. L’immaginazione del fantasy si spinge oltre, sempre verso mondi distanti e immortali, come del resto tutta l’arte. Qualsiasi tipo di narrativa ha in sé un’intuizione portante, una radiazione di fondo, il fondamento che gli uomini siano nati in una storia che li precede, e che li seppellirà e andrà oltre la loro esistenza mortale, ma gli uomini possono cogliere un frammento di quest’immortalità, di quest’Assoluto che percepiamo alla vista dei picchi innevati dei monti, o al mutare del vento delle stagioni, e della consistenza della terra, dall’Estate all’Autunno fino all’Inverno essa cambia profumo, odore, il coltivare dei campi e lo stesso concimarli ne muta la forma e il sapore, e la vista. All’infinito. Un ciclo infinito che si ripete, e una totale mancanza di comprensione da parte dell’uomo. Meravigliatevi, dice la letteratura del fantastico. Meravigliatevi oltre il bene e oltre il male. Fate di voi stessi e del luogo in cui abitate un reame fantastico, pieno di storie antiche e nuove da raccontare, un calderone di leggende sempre diverse, colorate di diverse tonalità, dalle più fosche, alle più splendenti e calde, all’anelito per le storie raccontate nel cielo stellato, così distante, ma così caro agli stregoni e agli elfi del fantasy.
Nel fantasy non c’è solo evasione, c’è uno sguardo approfondito sul reale, ne prende gli aspetti più grandiosi e li magnifica ancor di più, espandendo oltre ogni cielo l’immaginazione e la creatività, la facoltà umana che ci contraddistingue da qualsiasi altra specie, e ci nobilita, in qualche modo, se essa è usata per scopi pregni di splendore e desiderio di scoperta, se è legata a qualcosa che cresce, non a qualcosa che distrugge e che mortifica.
La letteratura fantasy è contraddistinta anche da un riferimento costante ad una natura incontaminata e selvaggia.
Le città sono ben presenti, ma per lo più, almeno nel genere di letteratura fantastica che si prende a riferimento, quello legato al romanzo medievale e Romantico, sono agglomerati di villaggi e sono anch’esse in qualche modo immerse nella natura, non sono invasive nei confronti di essa, fanno da cornice a civiltà e popoli che vivono in mezzo alla natura considerando comunque la terra un organismo vivente e pulsante, manipolabile tramite la stregoneria, ma tutto scorre e si trasforma, in un fiume eterno, nell’assoluto fluire dell’esistenza.
Il legame con le arti druidiche e con la sapienza folkloristica celtica è un’altra caratteristica molto presente nella letteratura fantastica.
Questo perchè i popoli antichi magnificavano la realtà, la “espandevano” anch’essi, proprio come un autore fantasy. Non si trattava di superstizione, si riconosceva ciò che era sacro come tale. Per esempio erano elementi sacri il raccolto, il mutare delle stagioni, la maestosità delle montagne e dell’oceano sconfinato. Vi era poi anche un aspetto mistico legato ai culti antichi, una parte dedicata all’anima e alla reincarnazione di essa, quindi, un riferimento forte alla profonda connessione di una parte intima dell’essere dell’uomo all’esistenza sempiterna dell’universo e dell’essenza della terra, e della vita stessa.
Non so di modi civili, raffinatezze, arti e menzogne.
Son nato sotto il cielo, cresciuto fra le montagne.
Il parlar sottile, la dialettica dei sofisti,
Non contano niente: la spada canta per me. – “La Strada dei re”, Conan – La spada della Fenice
Il fantasy sword & sorcery è caratterizzato sia da un lato che richiama la magia e il misticismo antico, sia dalla “barbarie” tipica di personaggi come Conan, ma anche un personaggio pieno d’umanità e autenticità come Elric di Melnibonè, e Geralt di Rivia, ci riportano a una certa familiarità coi protagonisti di determinate storie, anche noi, come contemporanei, ci troviamo nella condizione di Conan, “sono nato sotto il cielo”, il parlar sottile, la dialettica dei sofisti…sono tutti temi antichi e allo stesso tempo molto contemporanei. Elric è intrappolato dal suo stesso destino, mentre Conan se lo plasma il suo fato, troppo legato alla terra per essere perso tra i cieli oscuri di profezie e divinazioni.
Ma il più potente dei reami era Aquilonia, che dominava incontrastata sull’occidente ricco di sogni. Fu in questo mondo che si fece strada Conan il cimmero, uomo dai capelli neri e gli occhi torvi, la spada sempre in pugno: un ladro, un predone, un assassino dalle gigantesche malinconie e i giganteschi scoppi d’allegria. Il suo destino era di piegare i troni della terra sotto un piede calzato di sandali!” – Le cronache nemediane
Conan il cimmero, un uomo dalle gigantesche malinconie e i giganteschi scoppi d’allegria. Non è questo un ritratto assolutamente umano e autentico? Insieme all’epica e al senso di mistico e intimo collegamento con la terra, nella letteratura fantasy leggiamo anche di un hobbit che si spinge alle pendici del Monte Fato, anzi, due hobbit.
Nella terra di Mordor, dove l’ombra cupa scende. Esteticamente opposta alla Contea, se quest’ultima è permeata di luce e verde dei prati, Mordor è tetra, cupa, oscura, abitata da spettri, orchi e maledizioni antiche, come Shelob, rappresentazione inconscia delle tenebre e di ciò che abita la notte e i luoghi oscuri, un ragno. Tolkien è un maestro in questo, trovare simboli per il concetto che intende esprimere.
Il fantasy è quindi una disposizione d’animo, uno sguardo sulla realtà, oltre che essere un genere letterario e una vera e propria sottocultura.
Una cultura che pone i suoi fondamenti tra il paganesimo nordico e nei miti greci antichi, come nel ciclo di Poseidonis di C. A. Smith e in tutto il filone di fantasia mediterranea molto attivo in Italia, Grecia, Spagna e Portogallo.
Il fantasy pone le sue radici anche moltissimo nella storia, e nell’adattamento poetico di essa, ossia nell’epica. A riscoprire l’epica e i poemi tradizionali furono i Romantici dell’Ottocento, per questo righe addietro scrivevo che siamo noi contemporanei figli anche dei Romantici, oltre che del Novecento.
Da Wagner alla riscoperta del poema tradizionale finlandese, il “Kalevala”, la lista degli scritti ritradotti e recuperati dai Romantici è molto lunga. Wagner fu il maestro simbolo di quella riscoperta del paganesimo, almeno nella primissima parte della sua carriera. Fu colui che mise in scena e rappresentò al meglio l’epica pagana germanica e nordica accompagnandola con musica terribilmente splendida e vigorosa, forte, potente. Non a caso grande ammiratore e amico di Wagner fu un giovane F. W. Nietzsche, che vedeva nelle opere di Wagner l’attuazione della sua filosofia, l’essenza di essa. Si distaccò successivamente da Wagner per motivi filosofici, quando mise in scena il “Parsifal”, un’opera che si rifà a un mito cristiano, per quanto pur sempre un mito e una “quest” stupenda, non facente parte della mitologia pagana, e quindi di quella fedeltà alla terra che Nietzsche presupponeva come caratteristica per raggiungere lo stato di Oltreuomo.
Il Medioevo e l’epica cavalleresca, per quanto quest’ultima fu sfruttata dalla Chiesa durante il Basso Medioevo per motivi propagandistici durante l’epoca delle Crociate, fanno tuttavia parte dell’immaginario fantasy, per quanto il mondo dello “sword & sorcery” rientri in quell’atmosfera mistica, ma allo stesso tempo molto carnale e vitale e connessa con la terra, di cui scriveva Nietzsche. Un esempio di medievalità “estesa” e applicata al fantasy è “The Witcher” di A. Sapkowski, una saga in cui la società descritta è pressochè quella medievale nel senso dell’immaginario comune del Basso Medioevo, molto distante dall’Alto Medioevo.
Se prendiamo invece come riferimento Michael Moorcock o C. A. Smith scopriamo mondi infiniti, che hanno dato inizio anche ad altri generi, nel caso di Smith, molto amico di H. P. Lovecraft, e riecheggiante di atmosfere talvolta non molto dissimili.
David Gemmell si pone invece sul fronte di quel fantasy legato al romanzo storico, o che per lo meno da esso trae la linfa. Waylander dei Drenai è un perfetto eroe “sword & sorcery”, ma l’ambientazione in cui si muove è molto più “storica” rispetto ai sogni e agli incubi di C. A. Smith o addirittura di H. P. Lovecraft.
La letteratura fantasy come espansione, quindi, ma anche come prospettiva più meravigliata del reale, che si dischiude nel suo essere autentico, pieno di miti, leggende, e storie antiche, che fanno parte dei popoli come della corteccia degli alberi, il male è ben presente, il fantasy questo non lo dimentica, ma ricorda semplicemente che due Hobbit, mentre sto scrivendo queste ultime righe, nella terra di Mordor, dove l’ombra cupa scende, stanno scalando il Monte Fato, è semplicemente un’estensione, una presa di consapevolezza, un ricordo lontano che trascende il tempo, ma si fa sentire sulla pelle, nell’aria, nel profondo intimo di ciò che l’uomo è tramite i suoi miti.