
Sentivo il rumore della pioggia. I miei passi. Riverberanti per l’ampio salone d’entrata di quell’antico castello abitato unicamente da vegetazione e ricordi di epoche lontane che si dispiegavano sugli affreschi e sulle statue amputate e mozzate dalle vecchie battaglie.
La mia armatura era un peso sopportabile. La mia spada, qualcosa a cui dare particolare fiducia.
Il credo migliore e unico era quello rivolto verso il mio braccio, e la mia prontezza di riflessi, il mio istinto.
Non sapevo a cosa andavo incontro. Non sapevo se il compenso ne avesse davvero valsa la pena. D’altronde non sapevo proprio nulla, se non il nome, che tradotto dalla lingua impronunciabile dei Re Serpenti, significava, unicamente “Il Castello del Vuoto” chiamato anche in lingua comune “La Fortezza degli Uomini-Serpe”.
Anni e anni di evoluzione, di storia, di scoperte geografiche, di manifattura e di arti sempre più sviluppate e nuove, solo per giungere all’unica sensata e forte conclusione : il mio istinto era la mia spada, nien’altro. Mentre camminavo nel buio, e le luci del giorno si affievolivano dietro di me, dando inizio a un tramonto stupendo a cui non avrei potuto assistere.
La mia strada portava verso quelle profondità della Fortezza che non si potevano prevedere, non vi erano mappe, non vi erano sentieri o percorsi prestabiliti. Un mercenario si addentrava tra i meandri del Castello del Vuoto, uno tra i migliori delle terre dell’Ovest, divenuto addirittura cavaliere, ma pur sempre un essere umano, sebbene ben armato e con le armi migliori che la sua paga potesse permettergli, e i suoi compensi erano sempre discreti, non si lamentava. Già, ero proprio fatto così.
Una sensazione di aria umida e stantia, rimasta lì per secoli, mi attanagliò le narici e l’umidità s’infilò al di sotto della sua cotta di maglia.
Aprii la porta di legno marcio con un calcio.
Sussurri nelle tenebre mi accolsero con un abbraccio famigliare, scorsi figure violacee nell’oscurità quasi totale, soltanto la fioca luce del Pomeriggio inoltrato illuminava qualcosa da qualche grata e finestrella in pietra situata a molti piedi d’altezza sopra di me.
Più si avvicinavano a me e più percepivo le mie energie andarsene, non quelle corporee, quelle mentali, quelle psichiche, quelle legate alle speranze e ai dubbi. Una sensazione di non farcela, che mano a mano s’insinuava nella mia mente potevo leggerla e comprenderla meglio. Era una sensazione connessa a un dubbio che forse avevo già una volta varcate le immense colonne della Fortezza. Ne uscirò vivo? Ma, soprattutto, sono vivo? O lo sto facendo per sentirmi vivo, che è una cosa ben diversa dall’essere vivo?
E per sentirmi vivo avevo davvero bisogno di entrare nell’oscurità più profonda, nel cuore freddo e senza vita della tenebra?
Tutto fu creato dalla Notte Eterna, dall’Eterno Vuoto
Una voce non mia, stridula, sussurrante, distante, mi passò per la testa, come un pensiero a cui non si da molto peso.
Le figure fumose violacee mi avevano ormai avvolto e mi stavano a loro modo cullando, ponendomi a terra e ripetendo di riposare. Riposa, riposa, rinuncia.
Qualcosa dentro di me si scosse violentemente. <<Rinunciare??>> dissi urlando.
Impugnai la spada.
Argento.
Perfetta contro i non morti.
Con una spazzata e un affondo i tre spettri si dissolsero con un urlo proveniente da un mondo sotterraneo e putrido, umido e freddo.
Mi guardai attorno e notai delle torce, le accesi una ad una scagliando contro di esse un incantesimo di fuoco.
Il Castello doveva essere molto antico. Pieno di ragnatele, nidi di corvi, ragni, antiche librerie ad un piano superiore che riuscivo a mala pena a scorgere, e poi altri artefatti dalla natura a me sconosciuta, probabilmente appartenuti a stregoni di altre epoche. Alla mia sinistra potevo scorgere una colonna e una parte di muro crollate, difficilmente valicabili, optai per la scala rimasta intatta sfidando il tempo sulla mia destra.
Una decina di frecce, consecutive le une alle altre, mi sfiorarono il viso. Feci un balzo all’indietro, tirando su il gigantesco scudo per coprirmi dalla testa alle ginocchia.
Aspettai che le la serie di frecce finì, intuendo, giustamente, si trattasse di una trappola. Vidi un mattone per terra più rialzato rispetto agli altri e conclusi che si trattasse effettivamente di una vera e propria trappola.
Da un lato mi sembrava un segnale positivo, perchè voleva dire che ciò che mi era stato commissionato di cercare esisteva sul serio, e non mi avevano semplicemente mandato a morire come centinaia d’avventurieri e stranieri prima di me.
Il capo clan del villaggio di Hestmeir era solito sbarazzarsi delle persone a lui scomode proponendogli un sacco di denari, e un tesoro leggendario e incommensurabile che avrebbero trovato all’interno della Fortezza degli Uomini-Serpe, evitando ovviamente di avvertirli sulle numerose trappole e sulla probabile, anzi, quasi sicura, presenza degli Uomini-Serpenti, ritenuti estinti, per lo meno quelli di natura più ostile.
Continuai a camminare. Io del resto non ero in cerca di qualcosa in particolare. Ero solo interessato dall’avventura di esplorare un luogo mai visto prima, e soprattutto un luogo così antico. E poi, la sapienza degli Uomini-Serpe magari non era del tutto da buttare, per quanto fossero un popolo molto più antico del nostro, potevano comunque fornirci informazioni, cronistorie, leggende, folklore. In parole povero ero solamente curioso. Luoghi perduti nel tempo, esistenze narrate dal muschio sulle colline di qualche terra lontana, gli alberi silenti, il cielo freddo dell’Inverno, l’aria che si perde nel più lontano vagabondare degli astri, stelle gelide, sopra di me. Quello era vivere.
Ma forse era proprio la curiosità e la voglia di conoscere qualcosa di nuovo che mi aveva sempre spinto all’avventura.
Quindi curiosità e voglia di conoscere coincidono con la voglia di essere vivo e di esserci, di godersi il momento, pensai, continuando a camminare per i corridoi illuminati dalla torcia che tenevo nella sinistra, nella destra lo scudo.
O forse erano tutte scuse che mi stavo raccontando per giustificare la pessima idea di aver affrontato quell’incarico.
Il Castello del Vuoto. Più mi addentravo tra le vecchie librerie, le stanze, gli archi gotici, le statue di gargoyle e i dipinti di antiche dinaste di Re-Serpenti vissute migliaia d’anni fa l’aria si faceva pesante, piena di polvere, la luce più fioca. Mi tolsi l’elmo. Ci vedevo molto meglio.
E fu proprio appena dopo quel gesto che mi resi conto che dietro di me vi era un Uomo-Serpe, alto più o meno quanto me, indossava un’armatura d’acciaio, che copriva soltanto le parti vitali.
Impugnò la sua lancia a due mani, sussurrando qualcosa con la sua lingua biforcuta da rettile, e la scagliò dall’alto verso e il basso sopra di me, probabilmente per infilzare la mia malaugurata nuca che stava appena appena prendendo aria, sudatissima dalle scale, corridoi, anfratti e ancora scalinate in pietra che si sgretolavano negli angoli sotto al mio passo pesante in armatura.
Schivai a destra con una rotolata, picchiando la testa contro il muro a fianco a me, maledicendomi per aver tolto l’elmo. Non badai al sangue che sgorgava dalla fronte e non mi permetteva di vedere al meglio dall’occhio destro, e impugnai spada e scudo. Mi difesi da un affondo della lancia dell’avversario, alzando lo scudo sopra il mio sterno. Contrattaccai sul fianco scoperto, il suo sinistro, con un fendente che andò a segno, ferendolo dall’attaccatura della coscia sinistra a quasi metà del busto.
L’Uomo-Serpente abbassò gli occhi, mi guardò intensamente sollevando di colpo il capo.
Le pietre del Castello parvero cambiare, diventare più familiari. Io ero già stato in quel luogo, forse. Io avevo già vissuto lì.
Vidi banchetti e festeggiamenti per uno sposalizio, vidi una cena sontuosa, con moltissimi invitati di diverse stirpi e razze provenienti da tutto l’Ovest e anche oltre, dalle Isole Azzurre, dai porti delle terre di Ferro, da Haalfingard, persino, la leggendaria landa degli elfi del Nord.
Potevo sentire il sapore della carne, il gusto della birra e del vino, dell’insalata amarognola mista al formaggio fuso e della macedonia condita con il miele e la panna.
Sfiorai la mano della mia vicina commensale, che mi sorrise. La sua pelle era fredda. Anche la mia. Le sue pupille erano verticali, come quelle di un rettile. Guardai nella coppa d’acqua appena versata davanti a me e il muso di un Uomo-Serpe mi fissava, stupito, sconvolto. Poi capii.
Estrassi la spada dal fodero e gli tranciai di netto la testa. Uno schizzo di sangue, e poi il silenzio.
Stava cercando di maledire la mia mente con qualche stregoneria della sua stirpe, per convincermi di essere uno di loro, per non so poi quale altri scopi, e sinceramente non m’interessava, probabilmente per rendermi innocuo.
Eppure un pensiero iniziò a martellarmi nella mente. E se gli stregoni degli Uomini-Serpe stessero…No, era meglio non pensarci.
Continuavo a camminare, era il momento di tirare fuori la borraccia e bere. Un sorso d’acqua e poi un altro, e poi un altro ancora. Non me ne concedevo di più.
Il Castello del Vuoto, tra scalinate antiche e sentieri mai battuti, sembrava, nella sua struttura avere un aspetto molto solenne e religioso in superficie, e l’aspetto di una catacomba labirintica simile alle biblioteche dei monaci una volta raggiunta una certa profondità. Le vie smettevano di essere lastricate o formate da mattoni o massi di granito grezzi, ma divenivano man mano che si sprofondava polverose, cosparse di frammenti d’ossa di animali, topi, lepri, cinghiali, e anche ossa umane, teschi, per lo più, qua e là, e non erano più ordinate e precise, ma non si percepiva bene dove finisse la strada e dove iniziasse un plausibile dirupo, o meglio, più in là della strada non si vedeva, qualsiasi cosa ci fosse.
Mi addentrai nell’oscurità più totale, con il suono dei miei passi a farmi compagnia e nient’altro, se non lo sfrigolio della torcia. E stando un attimo completamente concentrato sui suoni e sui bisbigli della Fortezza, potevo percepire anche il clamore delle mie armi che cozzavano, corazza e tutto il resto. Non era un vero e proprio clamore, ossia qualcosa d’assordante, ma in mezzo a tutto quel silenzio, a me lo sembrava, eccome. Ero troppo esposto. La mia stessa corazza era diventata un problema, un peso, un intralcio, mi avrebbero scoperto.
E mi avrebbero trasformato in uno di loro.
Il pensiero mi venne come spontanea conclusione della catena sconclusionata di sensazioni e frasi che mi vorticavano in testa, colto probabilmente dalla suggestione del buio, dello sconosciuto, di quel posto, sempre più pesante, sempre più profondo e con meno aria, purezza. Mi sforzai di pensare ai miei antichi voti da cavaliere. Petali di rose cadevano sopra il capo miei e dei miei compagni, lasciate cadere con estrema lentezza e bellezza dalle sacerdotesse, mentre il maestro del nostro ordine ci passava prima su una spalla poi su un’altra la spada, riconoscendoci come cavalieri. Il cielo ero terso e sereno, nemmeno una nuvola. L’estate era al pieno della sua vitalità. Guardavo l’orizzonte e mi sentivo vivo, ma, soprattutto, mi sentivo anche me stesso.
E’ l’aria di questo posto che mi sta avvelenando, pensai.
Le mie dita assumevano l’aspetto di artigli da rettile, squamose, mani palmate. Non sapevo se la trasformazione fosse reale o se fosse solamente nella mia mente.
Quell’Uomo-Serpente mi aveva lanciato una maledizione.
Presi la spada con la mano destra, lasciai cadere lo scudo. Mi tolsi l’armatura, rimanendo a dorso nudo.
Puntai la lama contro la mia gola.
Eppure…quel banchetto. Quella felicità. Quel sano senso di convivialità e vita.
Mi rivestii e andai avanti. Sempre più giù, nella Fortezza degli Uomini-Serpe.
Sollevai una leva, con tutte le forze e la lucidità mentale che era tornata quasi alla totalità delle sue funzioni e potenzialità.
Si aprì un cancello, che dava su un ponte di pietra.
Improvvisamente dall’alto, non saprei dire di preciso da dove, probabilmente da dei cornicioni sopraelevati rispetto alla mia posizione, piombarono con un balzo tre Uomini-Serpenti armati di sciabola due, e di lancia e scudo l’altro.
<<Non è molto leale>> dissi ad alta voce.
Quella fu la mossa più stupida che potessi fare sotto qualsiasi punto di vista strategico. Non più tre, ma quattro, cinque, sei, sette, otto, non riuscivo più a contarli, Uomini-Serpe armati chi di scudo e sciabola, chi di lancia, chi di arco e frecce notarono la mia presenza e iniziarono ad avvicinarsi con passo diffidente a me. Non dev’essere nella natura di un rettile quella di attaccare senza aver prima studiato perfettamente la preda e il territorio di combattimento.
Sempre se di combattimento si poteva parlare. Probabilmente mi avrebbero fatto a pezzi senza troppe cerimonie.
Invocai dentro di me tutta la calma che possedevo. Non cercai di recuperare la calma persa durante quest’imboscata, ma pensai alla calma che avevo imparato, appreso, ed esercitato durante i miei addestramenti e durante i combattimenti e le battaglie passate, proprio quella sensazione di pace di quando tutto sembrava alla fine, e invece era semplicemente qualcos’altro da aggiungere ai propri ricordi piacevoli. Una battaglia vinta.
Sopravvivere, era il problema per il momento, più che vincere pensai a eliminarne uno con una spadata di sbieco che lo ferì gravemente, mi feci strada attraverso un altro sbilanciandolo con un colpo dello scudo, per poi finirlo una volta a terra con un affondo della lama nelle viscere. Schivai all’ultimo una freccia che stava per rendermi cieco da un occhio. Mi ricordai, così, di tenere lo scudo un po’ più sollevato.
Mi accerchiarono.
Come un cane braccato continuavo a menar fendenti a caso tenendo il più alto possibile lo scudo per ripararmi dalla pioggia di frecce.
Rimasi immobile per un attimo. Un istante che ai miei avversari parve un’eternità. Il tempo parve fermarsi e ricorsi alla magia del fuoco.
Trasmisi tutta la mia sicurezza, la mia quiete, le immagini più piene di essenza di infinito orizzonte che potevano venirmi in mente, dal profondo delle lontananze tra una costellazione e l’altra, tra universi senza un principio e una fine, attraverso il mio corpo e colsi la scintilla della stregoneria, la trasformai in un fluido lungo tutto il corpo, fino ai palmi delle mani, che posi a terra, attraverso i guanti di metallo, con un clang pronunciai “Pyro!” e attorno a me gli Uomini-Serpe iniziarono a bruciare, così come il terreno attorno alla mia figura, per qualche secondo, ma fu sufficiente ad annientarli tutti.
Non potevo farlo spesso, e mi serviva una notevole dose di coraggio e di energia per eseguire una magia già abbastanza avanzata come quella, ma era l’unico modo per cavarsela.
Mi sentivo svuotato, come dopo ogni incantesimo. Me ne avevano parlato, i maghi che praticavano da un po’ di anni. Dopo un po’ diventa qualcosa di subdolo. Ne vuoi sempre di più. Quella sensazione di potere e di controllo sugli elementi, quel senso di intima connessione con tutti i mondi e gli universi possibili creati e ancora da creare, ti da assuefazione quasi, non ti basta mai. E’ per questo che alcuni maghi scivolavano nella tentazione di conoscere e scoprire sempre di più, anche arti considerate proibite, che riguardavano l’inversione del corso naturale degli eventi naturali, non il controllo di essi, al fine di difendersi o attaccare, ma la totale supremazia sulla magia della natura, piegare l’essenza stessa della vita e della morte, e farla propria, divenendo così non divinità, ma demoni malvagi che hanno perso ogni traccia non solo di umanità, ma anche di vita in loro.
Mi guardai le mani. Di nuovo. Sembravano quelle di un Uomo-Serpente.
Maledetto posto. Devo sbrigarmi a trovare quello per cui sono venuto qui e andarmene. La mia testa mi gioca strani scherzi. Probabilmente, pensai, stregoni nascosti tra i torrioni e le alte guglie gotiche del castello stavano, dal profondo delle tenebre del loro spirito, tentando di lanciarmi contro una potente maledizione, abbastanza forte da spingermi a impazzire.
Entrai in un salone buio, illuminato soltanto di qualche fiaccola, i miei passi riecheggiavano come muti spettatori di uno spettacolo lento, strisciavo tra i miei pensieri e le ombre, inconsapevole della mia vera natura, senza sapere quale sarebbe stato l’esito delle mie azioni, senza considerare l’infinito abisso del potere degli stregoni, a quale conoscenza arcana e distorta erano giunti.
Il Teschio del Re-Serpente, ecco cosa mi era stato incaricato di recuperare. Antica reliquia che serviva all’Arciduca della Chiesa dell’Ovest per dimostrare al mondo, ancora una volta, la supremazia ecclesiastica sul male.
Io ero il cavaliere al soldo più pazzo e più capace per svolgere tale compito.
Ovviamente sarei stato ricoperto d’oro, onori, donne, vino. E tutto quello che un uomo materiale desiderava. Ma io non ero un uomo di siffatta specie. L’Arciduca non sapeva che ero qui, in questo posto infernale, per rubare il Teschio del Re. Era la mia garanzia per la libertà.
L’avrei consegnato a qualche mia conoscenza che mi avrebbe garantito un passaggio in nave verso Enderlind, la Terra Libera.
Non esistevano imperi, ecclesiastici, solo reami giovanissimi simili a tribù che vivevano per lo più spartendosi il territorio vastissimo di Enderlind e alleandosi tra loro per lo più tramite scambi commerciali, in molti luoghi ancora vigeva la legge del baratto. Erano selvaggi, e con usanze basate su credenze popolari, superstizioni, le definirebbe la Chiesa dell’Ovest. Ma del resto non era pur sempre su di una storia a cui tutti si aggrappavano per vivere, per trovare la forza per farlo?
Gli unici a far eccezione alla natura pacifica degli abitanti delle terre di Enderlind era il popolo a Est, pirati per lo più, e ancora più a oriente, si narrava di una terra abitata da semidèi che camminavano sulla terra e combattevano al fianco degli eserciti degli uomini.
A Enderlind avrei potuto cambiare nome, mestiere, vita. Non sarei più stato un cavaliere al soldo di importanti personaggi dell’Ovest, ma avrei potuto godere di quei profumi e di quei gusti e di quelle viste e sensazioni che di certo la Fortezza del Re-Serpente non rappresentava affatto, anzi, ne era agli antipodi. Se la Terra Libera gli ricordava qualcosa di connesso alla vitalità e al cielo stellato notturno o diurno esso sia, quel posto gli faceva venire alla mente cose maledette, cose putride, memorie piene di rancore e di antica fredda vendetta.
Avrei avuto il coraggio di andare ancora sotto?
Una scala a chiocciola portava verso il portone di una sala.
Mi tolsi l’elmo. Non si vedeva quasi nulla.
Scesi giù per la scalinata, il suono dei miei passi a farmi da compagno.
Nemmeno la luce della torcia era più mia alleata, persa chissà dove.
Giunsi, camminando e respirando lentamente, davanti al portone in legno massiccio, intarsiato con immagini di serpenti, spade, battaglie, cavallerie, uomini a terra, uomini in carica. Era raccontata una storia su quel portone.
Una voce leggera, ma ferma si insinuò nella mia mente. Mosse la mia mano.
<<Non avere timore>> mi disse. <<Passa la mano sopra il bassorilievo>>
Passai la mano sopra di esso, lentamente.
<<Chi sei?>> chiesi <<Questo posto mi ha fatto impazzire>>
<<Sono la Donna-Serpe che hai ucciso prima>>
Feci un salto.
Ero decisamente impazzito completamente.
<<Quella che hai…decapitato>>
Iniziai a respirare rumorosamente, affannosamente, l’aria iniziava a mancarmi.
<<Stai calmo. Sono solo ciò che rimane dell’essenza del guerriero che hai ucciso prima. Noi vaghiamo per questo posto, in questa fortezza, in quel che ne rimane, le nostre anime, se vuoi chiamarle così. Prima o poi c’impossesseremo di qualche altro corpo…se tu non vuoi farmi avere il tuo>>
<<Prima hai tentato un incantesimo di possessione?>>
<<Certo>> rise sommessamente <<Noi della stirpe degli Uomini-Serpe eravamo molto bravi nella magia, quel tipo di magia che poi la Chiesa dell’Ovest ha definito oscura, nera, chiamala come vuoi>>
<<Ma un corpo ce l’avevi già>>
<<Stava invecchiando, ahimè>>
Emise un sibilo, se si può definire tale, triste, mi parve.
<<…..rettili>>. Dissi ad alta voce.
Nessuno mi rispose. Cambiano pelle quando quella diventa vecchia, il ragionamento quadrava, dal loro punto di vista. Rimasi solo con il silenzio.
Non so per quanto tempo.
Mi svegliai, forse. O non avevo mai dormito. Non saprei dirlo con certezza.
Ero nello stanzone dove si trovava la porta gigantesca con sopra il bassorilievo. Ricordavo di aver passato la mano sopra il bassorilievo più volte, ma non era successo niente.
Poi come un’onda gigantesca i ricordi mi travolsero, all’ennesimo passaggio del palmo destro sulla fredda pietra.
Due eserciti si erano scontrati, secoli e secoli fa. Il primo, quello degli Uomini-Serpe, aveva perso, dopo la battaglia di Hinnfield. Passando la mano sulle figure intarsiate nel legno potevo percepire la loro sofferenza, il sangue che colorava i fiumi, i figli perduti, i villaggi bruciati, le vite spezzate. Gli eserciti dei regni degli uomini uniti in un’unica confederazione detta Confederazione Grigia, per via del colore argenteo delle loro armature, erano superiori di numero, nettamente.
Con una lacrima che mi solcava il viso scoprii che non si limitarono alla battaglia di Hinnfield, ci furono altri cosiddetti scontri minori, che per lo più erano saccheggi e stermini di intere città e villaggi. Un genocidio.
Ricordai il giorno in cui mi fecero cavaliere. Ricordai quell’aria pura. Ricordai che percepivo, nella Sala degli Eroi, gli spiriti e le essenze infinite della luce nella quale erano stati glorificati. E percepivo le loro anime in totale ed eterna quiete.
Impugnai la spada e iniziai a prendere a fendenti il portone. Dopo un po’ riuscii a farmi spazio tra i frammenti di legno semi distrutti a calci, e riuscii ad entrare nel salone.
Lo scheletro del Re-Serpente si trovava lì di fronte a me, nel mezzo della sala. Mi tirai indietro i capelli sudati, mi asciugai la fronte. Mi guardai attorno guardingo. In cerca di trappole, in cerca di possibili nemici. Nulla, a parte magari qualche marchingegno nascosto bene, e sicuramente letale.
Camminai lentamente, cubo di granito dopo l’altro, pensando che magari stando attento alla pressione del mio peso…
Non ebbi il tempo di pensare proprio a nulla. Una freccia mi si conficcò nel braccio destro, dritta nell’avambraccio.
Grugnii dal dolore, accasciandomi a terra per istinto e tirando su lo scudo con la sinistra, aspettandomene altre.
Poi mi resi conto che ad averla scagliata era stato il Re-Serpente.
Lo scheletro aveva lanciato un dardo, probabilmente controllato dagli stregoni Serpenti, ma ormai non ero più sicuro di nulla, in quel luogo dimenticato. Di quali poteri erano capaci, muovere le ossa di un morto, renderlo a nuova vita? Non capivo, ero confuso. Mi avvicinai, sempre con lo scudo alzato, il braccio destro sanguinante, non riuscivo a reggere la spada era troppo pesante, impugnavo un pugnale lungo.
Eppure non sembrava reagire.
L’arco era caduto per terra, in mezzo alle ragnatele. Gli tolsi lentamente la faretra. Lo scheletro si limitò a girare la testa e a guardarmi fisso negli occhi. Guardavo quelle cavità, tra le orribili fattezze da rettile, e dentro, scorgevo una cosa. <<Avvicinati>> mi disse.
Il mio volto, come sospinto da una forza non violenta, pressante, costringente, ma suadente, ipnotica, affascinante, quasi irresistibile, frenetica, si avvicinò al teschio.
Il mio occhio destro era sempre più vicino al suo, ma la cosa potevo scorgerla in entrambi gli occhi vuoti. L’infinità dell’immaterialità, da dove l’universo nacque.
Occhi vuoti…
<<Avvicinati>>
<<Il Vuoto!>> trasalii e mi allontanai di scatto, con un balzo all’indietro, rendendomi conto della potenza della magia nera che stava usando su di me.
<<Volevi trascinarmi nel Vuoto!!>>
<<Dove la mia e le anime della mia gente sono rinchiuse>> gracchiò lo scheletro.
<<E impossessarti del mio corpo>>
<<No, stupido>> lo scheletro rise, un suono sgradevole e stridulo <<La tua anima da guerriero mi fa molto comodo per la mia rinascita, il ritorno del Re-Serpente, tramite l’anima del cavaliere mercenario più impavido e coraggioso di tutte le terre dell’Ovest>>
Il Re-Serpente mi indicò.
<<Io esistevo prima ancora che le stesse terre dell’Ovest emersero dagli oceani di ghiaccio. Tu non sai e mai saprai cosa ho visto e cosa so, a meno che, cavaliere, non vieni con me, dentro di me, e tu saprai tutto, ogni cosa, non avrai più bisogno di Enderlind, tu sarai Enderlind, la creerai, ne creerai infinite in infiniti universi…>>
Impugnai la spada la conficcai nella bocca del Re-Serpente. Mi guardò con aria prima interrogativa, poi piena d’odio.
Tirai indietro la lama, sfilandola da in mezzo al costato scheletrico delle antiche ossa del re e con una sferzata laterale lo tagliai a metà di sbieco, distruggendone i resti mortali, la sua anima, intrappolata chissà dove. Guardai il teschio per terra. Feci per distruggerlo con un pestone, ma poi mi ricordai del perchè mi ero spinto fin nelle profondità del Castello del Vuoto.
Presi il teschio e lo misi in una sacca, sorridendo tra me e me, sognando Enderlind.
Ora avrei dovuto cercare un modo per uscire da quel posto.
Mesi dopo il vento mi accarezzava i capelli e il viso, il blu del mare si confondeva con il blu del cielo. La nave solcava il mare cavalcando le placide onde, che, ritmicamente, sembravano cullare l’imbarcazione e i pensieri dei passeggeri, e del timoniere che fumava lento, e del capitano, che guardava lontano pensando forse soltanto all’orizzonte. Respirai a pieni polmoni l’aria salata.
Enderlind, la Terra Libera, era lì di fronte a me.